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LA GIORNATA DI UNO SCRITTORE

Carlos Fuentes

22 Maggio 2009

Sono uno scrittore disciplinato. Ogni sera, prima di andare a dormire, prepare, come un alunno diligente, un foglio con i compiti per il giorno dopo. Tema, personaggi, linguaggio. II tutto con rigore teutonico.  Mi addormento. Mi sveglio presto. Mi lavo. Mi prepare la colazione. Silvia prepara il pranzo e la cena. Adesso dorme profondamente.

Infine, verso le 7.30, mi siedo a scrivere con il mio schema bene in vista. A mezzogiorno interrompo il  lavoro conoscendo quello che ignoravo e ignorando quello che conoscevo. Le cose che ho scritto in quattro ore e mezzo hanno poco o niente a che vedere con la mia razionale lista della spesa della sera prima.

E comparso qualcosa di diverse. Una novita improbabile, una sorpresa oscura, un piacere del già scritto paragonabile solo alia delusione del non-scritto. Che cosa e accaduto in quelle ore di sonno? Al di la di ogni razionalizzazione freudiana – il sogno distorce, rimuove, simbolizza – posso accettare che in sogno compaiano i morti che abbiamo amato a dirci in segreto quello che non hanno potuto dirci a viva voce. Se e cosi, vuol dire che nell’atto di sognare non compaiono solo i fantasmi della creazione, ma anche i suoi destinatari, il suo pubblico primo e primario:

Gli esseri amati.

Sognare e creare perché durante il sonno, che e meta dell’esistenza, si danno appuntamento la gestazione della vita e l’annuncio della morte. Portale privilegiato in cui si stringono la mano i due estremi dell’origine e della fine, come pud l’onirico non alterare la discrezione del razionale, introducendovi la propria indiscrezione?

Arrivare a un compromesso che non comprometta il sogno ma che non sacrifichi neppure la ragione apre la porta – una doppia porta, difficile da custodire – fra cio che rubo al sonno e cio che do alia veglia, perché anche se credo, illudendomi, di controllare la porta del mattino, non sono sicuro di sapere se sto aprendo o chiudendo la porta della notte.

Una cosa e certa: non si tratta di un processo ostile, ne verso di me ne verso gli altri. Ed e pericoloso, questo si, ma solo per me. Se ieri sera sapevo quello che avrei scritto oggi, come scrivere adesso quello che prima ignoravo?

Credo che la risposta vada ricercata nell’annosa questione del destinatario della scrittura. Sospetto degli scrittori che, fin dal primo momento, proclamano di scrivere per la gente. E detesto gli scrittori che conoscono la ricetta preconfezionata del successo di vendite. Invece mi sento attratto – come da un abisso, e vero – dall’avventura di un mistero iniziale (per chi scrivo?) o dall’onanismo di una giustificazione solitaria (scrivo solo per me), per approdare, nelle mie sette ore di sonno che sono 1’altra meta della vita, alia rivelazione dei destinatari concreti: i piu vicini, i piu cari, quelli che se ne sono andati seguendo la legge del fiume profondo, ad aspettarci in un tempo senza lancette. Una nonna del nord del Messico, discendente dagli indios Yaquis, coraggiosa e arguta, piccola e scura, figlia del direttore della Zecca di Sonora, originario di Santander, che le permetteva, da bambina, di scivolare dalla cima di una montagna di monete d’oro. Madre di quattro donne, una di lore era mia madre, vedova prematura di un nonno alto, bello e pallido la cui vita termino, solitaria e pietosa, in un lazzaretto, costringendo mia nonna a cercare lavoro nella campagna di alfabetizzazione del ministro Jose Vasconcelos e una volta in pensione, controvoglia, a regalare a noi nipoti i suoi aneddoti fantastici e ai generi il manuale delle buone maniere.

L’altra nonna, di Veracruz, severa come una statua gotica, donna esilissima, figlia di immigrati tedeschi della Renania, sposatasi a diciotto anni con mio nonno, figlio, lui, delle Isole Canarie, direttore della Banca Nazionale del Messico a Veracruz, dove nacquero mio padre e, prima di lui, una sorella e un fratello.

Quando mio nonno fu colpito da paralisi progressiva, la famiglia si trasferi a Citta del Messico, dove la nonna apri una lussuosa pensione completa di cucina veracruzana alia brace: insalata di mare, riso con banane verdi fritte, guachinango’, carne sfilacciata. Mia nonna non conobbe le cucine elettriche e io conobbi mio nonno solo quando era gia sulla sedia a rotelle, muto, paralitico e, come il vecchio Villefort nel Conte di Montecristo, senz’altra espressione che quella dovuta a sopracciglia mobili e mefistofeliche.

Se ne sono andati tutti con la decorosa naturalezza delle cose inaccettabili, come se ne sono andati i due assidui frequentatori dei miei sogni, mio padre, un uomo disciplinato, meticoloso ed elegante, diplomatico di professione per opera e grazia di una fantasia avventurosa che mia madre si incaricava di correggere con i piedi ben piantati per terra e un cuore tanto grande con il marito e i figli quanto diffidente nei confronti di un mondo di cui mio padre non sospettava, ma lei si.

Devo dire grazie a mio padre, e al suo amore per un fratello scomparso, se mi sono avvicinato alia letteratura. Lo zio defunto si chiamava Carlos come me e fu piu che una promessa, un brillante e giovane poeta veracruzano, discepolo preferito del poeta Salvador Diaz Miron. Un ragazzo alto, biondo, serio, che nel 1919, a ventun’anni, fu mandato a studiare a Citta del Messico e li mori di tifo in un paese rivoluzionario e rivoluzionato dove le epidemie della poverta e dell’incuria uccidevano piu dei proiettili. La sua morte intristi per sempre la mia nonna paterna, come la morte del marito fece con la mia nonna materna: le ho sempre viste tutte vestite di nero e cosi, a lutto, compaiono nei miei sogni, ripetendo storie tanto vecchie che ormai sono diventate nuove.

Anche i miei figli entrano nei miei sogni, seppure in modo diverse Cecilia, la maggiore, e viva e mi aiuta nel lavoro. Natasha, la minore, e morta a 29 anni di una vita impaziente, assetata di conoscenza, frettolosa e mandata giu d’un sorso, inquieta e ribelle verso le mancanze delle persone e l’ingiustizia del mondo.

Mio figlio Carlos sperimento invece l’armonia della vita e la sua vocazione di poeta, cineasta e pittore, accelerando la sua creatività naturale – creo fin dall’infanzia – quando seppe, fin dall’infanzia, di essere mortale, emofiliaco dalla nascita ed esposto, indifeso, a tutti i mali del tempo.

La mia vita e un libro che si regge in piedi grazie a quei due book-ends che la sostengono e le danno un senso di origine e fine: Carlos Fuentes Boettiger, mio zio poeta e Carlos Fuentes Lemus, mio figlio poeta, forse i protagonisti piu assidui dei miei sogni, al punto che quando mi sveglio e mi metto a scrivere, non so più se quello che scrivo appartenga a me o me lo dettino loro, i miei omonimi dalle vite troncate che hanno trasformato la mia sopravvivenza in un miracolo ordinario che non saprei come ripagare se non fosse per grazia dell’amore e di quella mediatrice d’amore nella mia vita che e mia moglie, Silvia, che mi aspetta sempre all’uscita del labirinto del sogno con un filo d’oro in mano, perche io non mi perda…

Mi sveglio sapendo che e ingiusto non sapere di essere mortali. «Crediamo» scrisse Tennyson «di non essere fatti per morire. La morte ci convince del contrario. Dunque, la morte e giusta». Antenati, morti giovani e vecchi. E rare che gli amici appaiano nei sogni. La loro attualita e troppo forte, troppo discreta, per interferire nelle mie notti. Ogni amico e come un Virgilio che mi accompagna alia luce del giorno, a quel perpetuo mattino che e l’amicizia e che si manifesta – ciao, come va, buongiorno, che piacere, che enorme piacere, che miracolo – nella parola non solo esclamata ma semplicemente detta, visto che nell’amicizia scopro che la parola benedetta non e la benedetta parola e nemmeno la disdetta della parola, ma la parola detta.

Byron descrisse l’amicizia come un amore senza ali. Io cerco di restituire le ali all’amicizia che, secondo Dickens, e un uccello che non deve perdere una sola penna, neppure quella con cui scrivo. Sono uno II guachinango, o huachinango, e un tipo di pesce molto diffuso nel golfo del Messico, simile alia triglia nell’aspetto ma piu vicino al dentice come polpa. Scrittore pre-moderno che non utilizza macchine, ma penna, inchiostro e carta da tenere con se per averle sempre a portata di mano in aereo, in spiaggia e in hotel. Ha bisogno di altro la parola?

Quel che e certo e che adesso e mattina, fra le sette e mezzo e mezzogiorno, le ore della parola scritta. Quel che e certo e che nella scrittura e nella vita viviamo in un costante scambio di parole. Sappiamo che il mondo ci da parole e che scrivendo le restituiamo al mondo. Ma la parola scritta non e più la stessa parola data dal mondo: e stata trasformata dal linguaggio, che e di tutti, per dire qualcosa che prima non era di nessuno.

E se adesso la parola scritta viene restituita a tutti, e solo perché il baratto si perpetui, e il linguaggio non si addormenti nella siesta della quotidianità, ma assalga la vita di ogni giorno con uno scossone insieme notturno e aurorale, trasformandola con impeto:

Oh, condizion mortale, oh, dura sorte!

con acuta ironia:

Ipocrita lettore – mio simile e fratello!

o con sconcertante novita:

Quel corso delfiume che, passata la chiesa di Adamo ed Eva…

In ogni caso il mondo non sara piu quello che era. 

Nemmeno lo scrittore: la creazione crea tradizione e la tradizione crea creazione e in questo perpetuo rapporto tra quello che e stato e quello che sara, quello che e racchiude in se tutti i tempi: ogni pagina e insieme memoria e desiderio, passato e future, ma solo qui e ora, nel presente iscritto negli spazi di Madrid, Città del Messico o Macondo, e nei tempi andati o a venire in quell’ora di tutti che e la lettura, istante, intimo e collettivo, al tempo stesso condiviso e personale, piazza pubblica e angolo privato.

Ecco cos’e per me il mezzogiorno:

Mani tese e occhi bendisposti.

Ce chi scrive per essere amato: Dickens, Garcia Marquez.

Ce chi scrive per essere odiato: Celine, Houellebecq.

Ce che scrive per essere gustato: Saramago, Nelida Pinon, artefici della lingua piu gostosa, la lusitana.

Ce che scrive per in-vertire: Balzac, Galdos, Dos Passos.

Ce che scrive per sov-vertire: D.H. Lawrence, Juan Goytisolo, Jean Genet.

Ce che scrive per di-vertire: Sterne, Saki, Diderot.

Ce che scrive per con-vertire: Mauriac, Bernanos, Graham Greene.

Ce che scrive per av-vertire: Swift, Voltaire, Orwell.

Temuto, amato, odiato, lo scrittore nasconde il segreto desiderio di essere, al tempo stesso, un disturbo per il mondo che e, e un creatore del mondo che pud essere. II fine ultimo e, in ogni caso, il lettore e lo scopo dell’autore e avere un effetto sulla vita affettiva del lettore, tendere fra se e il lettore un ponte per l’intimità anche a costo dell’intimidazione, rinnovare nella lettura lo spirito del lettore e l’esistenza del libro. Perché sappiamo che il lettore, protagonista del post-meridiano, conosce il future. Lo scrittore, no. Inoltre, perché lo scrittore consegni un libro al lettore, deve scrivere una letteratura che crei lettori, non una letteratura che conti lettori.

II prossimo lettore del Don Chisciotte non e ancora nato.

Prima di Cervantes, il Don Chisciotte era inimmaginabile.

Dopo Cervantes non possiamo immaginare il mondo senza il Don Chisciotte.

Questo significa che Cervantes – o Flaubert o Faulkner – vive attraverso noi secoli prima della nostra nascita, e secoli dopo la nostra scomparsa. II romanzo, in questo modo, anticipa le nostre vite.

Perché una cosa e certa:

II lettore abiterà la sera della nostra giornata.

II lettore sopravvivera all’autore.

II lettore diventera il co-autore del libro e il prossimo lettore non e ancora nato.

Ne deriva, da un canto, la lenta capillarità del discorso, delle idee e delle immagini della letteratura: la loro lentezza e estranea alia fretta del mondo, per cui il mondo, sempre piu abituato alle notizie lampo e alia conoscenza in pillole, pud temere questa rivoluzionaria scommessa di durare più della notizia ed essere notizia domani e dopodomani. Scomparire un giorno e riapparire quello dopo: essere il nostro fantasma.

La letteratura e un disturbo dell’ordine costituito. Ma e una speranza nei mondi da costituire. E, nel suo presente perpetuo, un’affermazione della vitalita delle culture. Sono tanto contemporanei il Popol Vuh anonimo quanto il Klingsor di Jorge Volpi, tanto moderna Odissea di Omero quanto Ulisse di Joyce. Giacomo Leopardi da una tomba al poeta di sempre; Julian Rios, un cappello alia bambina di adesso. L’inferno di Dante e temibile quanto il cielo di Tommaso Landolfi o il purgatorio di Cesare Pavese.

Voglio segnalare che ogni persona possiede in ogni istante i fatti che gli sono successi e gli succederanno ma li possiede solo nel presente, che e dove il passato e il future esistono davvero in virtu della memoria è del desiderio.

Eppure, chi vuole ricordare tutto e chi riesce sempre a ottenere quello che desidera? II prodigioso Funes di Borges ha paura di impazzire ricordando tutto, e decide di limitare la memoria a una settantina di ricordi gestibili. E la lezione della sera: ogni storia e selettiva, ma non nel senso di trasformare i fallimenti di alcuni nel successo di altri. A Londra, un francese si stupisce che ci sia una piazza Trafalgar o una stazione Waterloo, proprio come a Parigi un austriaco pensa che Austerlitz e Wagram, trionfi napoleonici, siano state sconfitte e a Citta del Messico non festeggiamo i conquistatori – non ci sono statue di Hernan Cortes – ma i vinti: Cuauhtemoc, l’ultimo re azteco, da il nome, alzando la lancia, a viali, quartieri, autobus e bar.

Non per questo, ma nel senso che lucidamente indica Carmen Iglesias, la storia e un insieme di avvenimenti umani nei quali il caso e la necessita obbligano noi, uomini e donne di ogni epoca, a rispondere al tempo che ci e toccato con gli strumenti propri di ogni epoca. Questa generosa e ampia definizione – della sua autrice – accetta la complementarità fra letteratura e storia: in entrambe intervengono l’immaginazione, e la parola. Invece, se non sono le parole, e l’immaginazione – l’immaginazione come elemento costitutivo di verità – a essere assente dalla religione (quando si fa dogmatica) e dalla politica (quando diventa ideologica). E in queste occasioni, davanti al dogma, davanti all’ideologia, che apprezziamo il valore della letteratura nella storia o della storia nella letteratura: proponiamo enigmi invece di dogmi e ideologie accecate dalla certezza assoluta. Dubitiamo per sapere.

Sappiamo per dubitare.

E la lezione del crepuscolo.

I romanzi che evocano un passato storico, ritraggono un presente storico o prevedono un future storico, ci presentano due certezze.

La prima e che tutti i tempi storici saranno, in quanto tali, fatale passato nella misurazione lineare dei calendari. Alio stesso modo oggi, in questo senso, sono «passato» gli eventi di Guerra e pace che avvengono nel 1812, quelli di 1984 che sono avvenuti venticinque anni fa, o quelli della Guerra dei mondi di H.G. Wells che, almeno fino ad oggi, non sono ancora avvenuti.

La seconda certezza e che il vero tempo di un romanzo e sempre interno al romanzo e, in questo senso, Tolstoj, Orwell o Wells sono sempre presente, sono sempre nel presente della loro narrazione, qualunque cosa questa evochi, un passato, un presente o un future storici. Un esempio per tutti: le Cosmicomiche di Calvino.

Al calare della sera, storia e letteratura si riuniscono nella memoria. Poi, la storia perde la memoria e lo scrittore supplisce con l’immaginazione. Balzac immagina un contadino senza registro storico. Stendhal non vede la battaglia di Waterloo con il cannocchiale di Bonaparte o di Wellington, ma con la visione confusa di Fabrizio del Dongo nel cuore del combattimento. Dickens inventa un’altra Londra e Londra ricambia trasformandosi per sempre nella visione di Dickens. Omero scrive con una lingua potente che sa di essere mortale: le voci della Grecia antica si spengono. L’Hiade e VOdissea, la parola profana, rimangono.

Voglio dire che siamo tutti assediati da una fatalità che il libro nega, resuscitando, piu volte, con ogni lettura, il palpito della vita.

È l’ora del libro, la prima ora del crepuscolo, quando le lampade si accendono e la lettura si sforza di illuminare la sera.

E cos’è, cosa fa, un libro?

II libro corona fedelmente una civiltà secolare di lettori spesso messa a dura prova dalla storia. II libro crea un’indispensabile civiltà di lettura in paesi che talvolta passano dalla tradizione orale alia declamazione politica, con in mezzo una tappa di silenzio. II libro raccoglie e rispetta l’oralità come tradizione, smaschera l’oralità come retorica e ci salva dal silenzio per proiettarci nel dialogo. Pur nella solitudine della lettura, ci accompagnano la lingua, l’immaginazione e la memoria deH’altro chiamato Cervantes o Shakespeare nel momento in cui si trasformano in noi attraverso la lettura. Malraux ha detto che la Grecia fu la prima civilta senza un libro sacro. E ha aggiunto: e la prima civilta in cui la parola intelligenza significa interrogazione. La lettura come dialogo e il dialogo come domanda. E questa la relazione profonda fra scrittore e lettore? E arrivata l’ora della cena che Sergio Ramirez ha preparato in onore di Ruben Dario? Della colazione che Dino Buzzati offre a Hyeronimus Bosch?

Conversiamo: scrittore e lettore, ma anche libro e societa.

Non credo che ci siano societa «democratiche» nel senso pure del termine inteso da Lincoln: il governo del popolo, dal popolo, e per il popolo.

Credo invece che in ogni societa si possa aspirare a una maggiore liberta, politica, intellettuale, religiosa e sessuale. Quello che secondo me distingue i regimi e l’apertura o la chiusura davanti a questa aspirazione profonda, grave, permanente alia quale la letteratura offre lo sbocco privilegiato della parola.

Nelle societa dei cosiddetti «paesi liberi» (che a suo tempo protessero Franco e Pinochet) e frequente che la letteratura sia oggetto di indifferenza. Lo scrittore diverte, si diverte ed e giudicato secondo canoni inconsistenti quali essere o no un Best-Seller, essere visibile o invisibile, popolare o sconosciuto. Canoni errati: nel 1936 circola negli Stati Uniti un grande best-seller, Anthony Adverse, una saga napoleonica scritta da Hervey Allen, piena di intrighi, eroi innamorati e alti busti imperiali. Ma visto che de bustibus non est disputandum, lo stesso anno esce una piccola opera appena segnalata dalla critica e ignorata dal grande pubblico: Assalonne, Assalonnel di William Faulkner. A distanza di cinquant’anni, chi ricorda le traversie di Anthony e chi può dimenticare la tragedia universale della famiglia Sutpen nel sud degli Stati Uniti?

Ci sono successi immediati e ben accolti fra i romanzi, dal Don Chisciotte a Cent’anni di solitudine.

Ci sono successi che il tempo dissolve: Peyton Place. Ci sono oblii da cui il tempo riscatta: La Certosa di Parma. Ma anche se in questo campo niente e scolpito sulla pietra, rimane la questione di sapere fino a che punto la politica accolga la letteratura e di come un libro, dal significato profondo, spesso segreto, poco visibile o scarsamente assimilabile, un buon libro, molto letto o ignorato che sia, possa resistere in società «democratiche», cioè liberali e aperte tanto aU’errore e all’ingiustizia quanto alia possibility critica e pubblica di correggere il primo e cercare la seconda; e in stati totalitari, dove la verità dogmatica viene dettata, senza appello, dall’alto.

La letteratura apporta immaginazione e parola in ogni societa. Credo che nessuna societa possa vivere senza immaginazione e senza parola. Ma se nelle societa «democratiche» l’immaginazione e la parola possono essere oggetto d’indifferenza o perversione alio scopo di svilirne l’importanza, nei regimi totalitari l’immaginazione e la parola sono oggetto di persecuzione, e questo gli restituisce tutta l’importanza dovuta.

Scende la notte.

Perché quando i libri vengono incendiati in roghi pubblici e gli scrittori condannati all’esilio, assassinati o rinchiusi nei campi di concentramento, vediamo con una chiarezza accecante che la dittatura vuole possedere il monopolio della parola, ed esautora brutalmente non solo la parola opposta ma anche quella divergente, altra: la parola eretica, e consideriamone bene l’etimologia: eresia, eso theiros, io scelgo.

II totalitarismo, ci dice Philip Roth, conduce lo scrittore in un campo di concentramento. II capitalismo, aggiunge, lo ospita in uno studio televisivo.

Parlando di Kafka il filosofo cileno Martin Hopenhayn imprime una svolta intelligente all’argomento:

Siamo noi a creare il potere?

Ci assoggettiamo alia nostra creazione?

Vestiamo il re nudo?

Trasformiamo il fantasma del potere nel corpo del potere?

L’indifferenza liberale e la differenza dittatoriale illuminano solo il fatto che la letteratura avviene simultaneamente, qualunque sia l’intenzione dell’autore, in orari pubblici e privati, per il semplice fatto che pure nella società piu libera, lo scrittore apporta linguaggio e immaginazione e tutt’e due sono indispensabili alia citta, anche se quest’ultima non lo sa o lo nega.

Non c’e dubbio che parole e immaginazione possano disturbare.

Perché?

Perché la letteratura e pluralista in società che a volte invocano la pluralità soltanto in occasione di cerimonie pubbliche o al momento delle elezioni. Perche la letteratura e attenta, ci costringe all’attenzione in un mondo spesso distratto. E la letteratura attenta e un attentato contro buone abitudini, ipocrisie e sepolcri imbiancati.

Perché la letteratura e ironica, tanto nel senso moderno di distanza e osservazione critica e persino umoristica rispetto alle convenzioni e alle verita accettate, quanto nel senso socratico (ammettere come verità una menzogna per smascherarla), romantico (possedere vivacità di spirito per proporre paradossi) o esistenzialista (l’ironia come maschera indispensabile della serietà affinché questa, quando e solenne, non venga creduta).

Potremmo dire, parafrasando Kierkegaard, che la letteratura entra sempre nel mondo come un’estranea.

Ovvero:

La letteratura vede le altre possibilità dell’essere umano, spesso – quasi sempre – assenti dal discorso pubblico.

La letteratura, quindi, amplia quelle possibilita, a detta del grande filosofo ceco, marxista e dissidente, Karel Kosfk: esprime la realtà ma forma la realtà, ne prima ne dopo, bensì nell’opera stessa.

Voglio dire che un romanzo non si limita a insegnarci il mondo.

Un romanzo vuole aggiungere qualcosa al mondo, non solo spiegare o ritrarre la realta, ma creare la realtà: non solo nuova realtà, ma più realtà, di notte, prima che faccia giorno.

La realta che prima non era li e che adesso, grazie al romanzo, forma parte della realta.

Un simile progetto non solo arricchisce l’ampiezza del respire storico del mondo, spesso la fonda. 

Ecco il mio progetto di mezzanotte, il mio bozzetto per l’indomani.

I romanzieri di origine iberica e iberoamericana capiscono cosa sto dicendo: la letteratura e l’arte della Spagna e dell’America Latina nascono meno dal suo tempo storico che dal contrattempo che lo scrittore o l’artista oppongono all’assenza o alia sventura storiche.

Dove si combatte l’arabo, l’Arciprete di Hita lo reintegra con // Libro del buon amore.

Dove si espelle l’ebreo, Fernando de Rojas lo reintegra con La Celestina.

E dove gli editti della purezza del sangue e i dogmi della Controriforma estendono a tutti gli angoli del regno le proibizioni del tempo, Cervantes, nel Don Chisciotte, dimostra che un romanziere può creare un altro tempo, un contrattempo, nel quale la realtà può fondarsi sull’immaginazione.

Purtroppo, non esiste una storia spagnola o ispanoamericana senza l’inquisitore Torquemada o il conquistatore Nuiio de Guzman.

Ma fortunatamente non ne esiste neppure una senza l’Arciprete di Hita, Fernando de Rojas o Miguel de Cervantes, senza Suor Juana, Neruda e Garcia Marquez.

O senza la creativa tradizione transatlantica. Non c’e Lezama senza Gongora. Da adesso pero non c’e Gongora senza Lezama.

Discendenti di Sherazade, i romanzieri di oggi, come 1’affabulatrice di ieri, rappresentano l’antichissima aspirazione di sconfiggere la morte mediante la creazione. O per lo meno di rinviarla di un’altra notte grazie a un altro racconto, per vivere un altro giorno – un giorno glorioso – su questa terra, fino a sommare mille e una notte.

– Per raccontare che il fratello ha versato il sangue del fratello.

– Per raccontare che i mulini sono giganti.

– Per arricchire la popolazione della terra con l’eccentricita di Picwick e di Bras Cubas, con l’ambizione di Rubempre, le mille vite di Tristram Shandy e la morte unica di Hans Castorp.

– Per riempire il vuoto del mondo come solo potevano fare Lord Jim o Leopold Bloom, Remedios la Bella o la Maga di Rayuela.

– Per dare un giardino alia Presidentessa, una via a Fortunata e Jacinta, una prigione a Edmond Dantes, una camera in penombra al narratore di Proust, una baleniera ad Achab, una foresta ad Arturo Cova, un’isola deserta a Robinson e una tomba a Pedro Paramo.

Così ha risposto il romanzo alia preghiera dell’uomo di aderire alle molteplici forme dell’umanità.

Così risponde oggi alia preghiera di intere civilta: Ascoltatemi. Leggetemi.

Ma una volta arrivati in quello spazio condiviso nel quale Sherazade intinge la sua maddalena nel te di Swann ed Emma Bovary fa harakiri con la spada di Yuko Mishima, e viene imbalsamata nel feretro di Santa Evita da Tomas Eloy Martinez, l’evento stesso del linguaggio ci dimostra che stiamo sempre creando un linguaggio, camminando simultaneamente aH’indietro per tornare alle origini dell’essere parlante e in avanti verso la sua impossibile conclusione nel future.

La storia diventa oggetto del linguaggio partecipando al movimento del linguaggio. E la sua notte e la sua prima luce del giorno.

Del resto, all’origine della parola, che cosa troviamo se non l’origine stessa della conoscenza grazie alia letteratura – mito, favola, epopea, tragedia, poesia: la letteratura come prima identità che acquisisce la parola e la parola come prima identita che acquisisce la persona?

L’attuale geografia del romanzo non solo ingloba vaste aree della vita sul pianeta non considerate nel passato, quando Montesquieu poteva domandarsi, ironico: com’e possibile essere persiani? e Hegel definire con due sole parole tutto il continente americano come un vasto e permanente «Non ancora»: un risveglio rinviato, una notte prolungata.

Non ancora: forse Hegel aveva ragione, nel senso che 1’America simbolizza il nostra compito inconcluso di esseri umani agenti e parlanti, uomini e donne che non hanno detto l’ultima parola. Ecco perché, all’estensione dello spazio esterno del romanzo attuale, bisogna aggiungere, all’interno di ogni comunita linguistica o nazionale, una diversificazione che riguarda o e prodotta dai gruppi più invisibili e aggrediti del nostra mondo felice, riuniti nell’ombra notturna, a litigare per un raggio di luce:

L’ebreo e l’arabo.

L’indigeno americano, il lavoratore emigrate

L’omosessuale.

II dissidente in generale e ancora piu in generale e in particolare al tempo stesso, quella meta della popolazione mondiale che e il genere femminile. Si, Sherazade e tornata a raccontare e a cantare, nel senso di raccontare come donna e come scrittrice, non solo attraverso il sesso, ma attraverso il suo canto universale, quello della poetica che e, in fin dei conti, la base di tutte le letterature: la parola non con un solo senso, ma con significati molteplici, la parola in gestazione, nove mesi o nove secoli. Esiste un terreno comune aurorale in cui possono riunirsi la storia che noi stessi facciamo e la letteratura che noi stessi scriviamo.

Quel luogo non e l’Olimpo ma 1’Agora. E lo spazio condiviso ma inconcluso nel quale ci occupiamo di qualcosa di infinito ma minacciato: la creazione propria di uomini e donne che non hanno detto la loro ultima parola.

Una societa e malata quando crede che la storia sia completa e che tutte le parole siano state dette.

Una societa e sana quando le sue donne e i suoi uomini sanno che la storia non e finita, ne sono finite le parole che manifestano discordanza, scetticismo, insoddisfazione davanti all’ordine attuale, qualunque esso sia.

Siamo esseri incompiuti. Siamo esseri insoddisfatti.

Siamo uomini e donne infiniti.

La nostra storia e il nostra linguaggio non finiscono ancora perché sono storie e linguaggi molteplici, contraddittori, policulturali, multirazziali e storicamente presenti.

L’arte di narrare contribuisce in maniera insostituibile a creare e mantenere un dominio di polivalenza sufficiente, di apertura, di pluralità, di senso del risveglio, capace di opporre sia pure un minimo di resistenza all’assimilazione del mondo economico basato sul consumo istantaneo dei beni che produce; all’assalto del mondo politico, che vorrebbe requisire il linguaggio a beneficio del proprio processo di costante autolegittimazione; e perfino alle benigne carezze della ragione positivista che vorrebbe, insidiosamente, ridurre il linguaggio alia comunicazione di cio che e puramente fattuale o dimostrabile.

E, in ogni caso, come coppie nel giardino delle origini, scriviamo romanzi tanto per rinviare la morte quanto per aprirle la strada, mediante l’operazione che ci da liberta di caduta solo per darci una possibilità di ascesa.

La scrittura del diavolo dipende dalla vicinanza dell’angelo; ecco perche saluto anche i nuovi romanzieri ispanoamericani che occupano oggi il centra della scena: Ignacio Padilla e Pedro Angel Palou in Messico, Juan Gabriel Vazquez in Colombia, Carlos Franz, Arturo Fontaine e Sergio Missana in Cile. I messicani Alvaro Enrique, Guadalupe Nettel e Mario Bellatin. Gli argentini Matilde Sanchez e Sylvia Iparraguirre. E due Santiago: Roncagliolo e Gamboa. Loro sono il nuovo giorno.

Un romanzo situato agli albori del giorno ci dice che il passato e vivo nella memoria e il futuro e presente nel desiderio.

Forse, nel caso concreto dellAmerica Latina, il romanzo contribuira poderosamente a colmare il vuoto più drammatico e a realizzare il progetto piu esigente della nostra storia. A colmare il vuoto fra la nostra straordinaria ricchezza culturale e la nostra persistente povertà politica ed economica.

A realizzare il progetto di comunicare il vigore e la continuità della nostra prodigiosa cultura indigena, africana ed europea – meticcia – a una vita politica democratica, sostenuta da un crescente benessere economico delle maggioranze.

Da questo progetto di futuro, e dal dolore per la sua attuale assenza, non e stato, non potra essere assente, il romanzo latinoamericano.

È non perche si trasformi in un’arma di propaganda o in un messaggio politico, ma perche il romanzo mantiene vive due realtà senza le quali le società languiscono e muoiono.

La letteratura mantiene vivi l’immaginazione e il linguaggio.

È questa la sua servitu, ed e anche la sua gloria.

È sara, senza dubbio, il suo contributo, nell’attuale secolo e millennio, a un’America Latina non prostrata, ma in piedi, in cui dire democrazia significhi dire benessere. In cui potremo superare le forti disuguaglianze che oggi distruggono la nostra convivenza e avvelenano le nostre azioni. In cui, davanti alia confusione e alia scomparsa delle tradizionali giurisdizioni regionali, nazionali, internazionali e sopranazionali, noi latinoamericani sapremo creare e mantenere la giurisdizione sovrana di comunità create dal basso, dalla famiglia, dalla scuola, dal municipio, dal lavoro, dalla salute, dal più grande capitale che abbiamo in

America Latina: il nostra enorme, enorme capitale umano e sociale, piu importante di qualunque somma di capitale finanziario volatile e sdegnoso.

La letteratura e parte di quel vasto capitale umano dell’America Latina. E la meravigliosa riserva di un metallo che, utilizzato, non si esaurisce mai: l’oro deH’intelligenza, della parola e della cultura.

E l’annuncio del sole.