2019 XIII EDIZIONE, VINCE ANNIE ERNAUX
ANNIE ERNAUX, UNA DONNA traduzione di Lorenzo Flabbi – L’Orma
Annie Ernaux, nata a Lillebonne (Senna Marittima) nel 1940, è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, la sua opera è stata consacrata dall’editore Gallimard, che ne ha raccolto gli scritti principali in un unico volume nella prestigiosa collana Quarto. Nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettori e studenti. Della stessa autrice L’orma editore ha pubblicato Il posto, Gli anni, vincitore del Premio Strega Europeo 2016, L’altra figlia e Memoria di ragazza.
Motivazione
“Una donna è un capolavoro minimalista. Qualche giorno dopo la morte della madre malata di Alzheimer in un ospedale alla periferia di Parigi, Annie Ernaux decide di scrivere di lei nel modo più sobrio e sincero che si possa immaginare. Ritrae sua madre in tutta la sua caparbietà, autodisciplina, violenza e tenerezza. La madre (mai citata per nome) lavora notte e giorno, decisa a dare alla figlia una vita migliore della sua. Questo magnifico libro, insieme agli altri pubblicati da Annie Ernaux, è la dimostrazione che le ambizioni di sua madre si sono realizzate. Ma non si tratta soltanto della storia di una famiglia povera che vive nella campagna della Normandia durante e dopo la seconda guerra mondiale. È anche il ritratto di un’intera generazione. Come nel successivo romanzo Gli anni, Annie Ernaux, forse influenzata dal filosofo Bourdieu, dipinge un quadro più ampio degli effetti culturali della povertà su un’intera popolazione. È un libro che tutti potranno apprezzare, per il suo carattere intimo, la sua franchezza e la toccante evocazione di un genitore defunto”.
2019 FINALISTI XIII EDIZIONE
ANDRÉS BARBA, REPUBBLICA LUMINOSA traduzione di Pino Cacucci – La nave di Teseo
Romanziere, saggista, poeta, traduttore, sperimentatore di forme espressive solidamente fondate sul canone occidentale ma protese a rinnovarlo, Andrés Barba ci consegna un oggetto felicemente misterioso e inclassificabile che è molte cose: fiaba iperrealista “con la morale in sospeso”, apologo politico, puzzle dai troppi pezzi volutamente mancanti, finta cronaca aperta su domande perturbanti.
Nella placida San Cristóbal, città subtropicale circondata da una giungla implacabile, reale e immaginaria come quelle di Garcia Marquez, a metà negli anni ’90 piomba una banda di bambini selvaggi segnati da una inquietante diversità. Nessuno sa chi siano e da dove vengono. Si rivelano presto “ingegnosamente maligni”, parlano una lingua nuova e magica che sembra voler rinominare inventivamente le cose, non hanno un capo riconosciuto, scippano, rubano, costruiscono una loro controcittà nel sistema fognario, attaccano e distruggono un supermercato, arrivano a uccidere come obbedendo a un software biologico.
La loro radicale alterità, che provocherà una risposta spietata, finisce per rivelare la fragilità dei nostri strumenti interpretativi, inadeguati e autoindulgenti, incapaci di uscire dai comodi stereotipi di una presunta razionalità, e di aprirsi ad una lettura della realtà.
La finta oggettività della ricostruzione che vent’anni dopo ne fa un anonimo funzionario dei servizi sociali, si fonda sul rigore della scrittura, così sorvegliata da apparire naturale. Quella che ha le apparenze di un’indagine sociologica diventa così un forte apparato metaforico sulla natura del male, sulla falsa immagine che abbiamo dell’infanzia, ma anche sulla fatale attrazione per tutto quello che ci minaccia: “Ci affascina ciò che ci esclude”, scrive l’autore. Un romanzo acuminato, condotto con mano ferma, che fa di Andrés Barba uno dei narratori più necessari su cui possa contare la letteratura europea.
ELIF BATUMAN, L’IDIOTA traduzione di Martina Testa – Einaudi
È il 1995, siamo a Havard, e Selin è all’inizio del suo percorso universitario. Le email – la cosiddetta posta elettronica – sono una novità: non si deve più aspettare settimane e correre alle cassette delle lettere per avere una risposta. Il che scombina, tra le cose, il tempo delle relazioni.
Con questo anacronismo, Elif Batuman apre L’idiota, certamente uno dei romanzi di più strabiliante originalità del 2018, acclamato negli Stati Uniti e non solo come uno dei libri più significativi, arrivato a un soffio dal Pulitzer. Collaboratrice del New Yorker dal 2010, Batuman scrive un romanzo che ha una natura spuria: come tutti i libri che lasciano davvero il segno, è un oggetto letterario non identificato, sospeso com’è tra l’autobiografia, il memoir e il romanzo di formazione.
Dentro ci sono tutte le passioni della scrittrice americana di origine turca che avevamo già incontrato ne I posseduti, irresistibili saggi narrativi dedicati agli scrittori russi. E dunque la lingua russa, l’immigrazione di seconda generazione, e una contagiosa propensione a ridere di sé. Titolare L’idiota – titolo di evidente ascendenza dostoevskiana – una sorta di autobiografia, per quanto molto romanzata, va evidentemente in quella stessa direzione.
Con questo romanzo, che pur essendo tecnicamente un esordio ha la solidità di un romanzo della maturità, Batuman riesce in un miracolo che è concesso a pochi: scrive un libro di altissima caratura letteraria, infarcito di rimandi letterari, che però si legge con lo spasso di una sit-com. A differenza di una sit-com, l’effetto dura a lungo, come a lungo brillerà la stella di questa scrittrice destinata a segnare la letteratura dei prossimi anni.
STEFAN MERRILL BLOCK, OLIVER LOVING traduzione di Massimo Ortelio – Neri Pozza
Dopo l’intenso esordio con Io non ricordo, Stefan Merrill Block ci dà una prova decisiva del suo talento con un romanzo che prende di petto il lettore e lo obbliga a misurarsi con gli incubi e i dilemmi etici del nostro tempo. In una cittadina ai confini con il Texas, la mattanza messa in atto da un giovane immigrato messicano durante il ballo della scuola sprofonda il diciassettenne Oliver in un coma vegetale di dieci anni, disgrega una famiglia, sconvolge per sempre una comunità e avvia un’ondata di xenofobia. Il ragazzo che cercava di passare inosservato diventa un fantasma che aleggia su una città avvilita, un oracolo muto, un’ossessione, un rimpianto.
Block ha scritto un romanzo sulla fatica della speranza e sulla durezza dei suoi costi, e sulla sospensione del tempo creata dal limbo del coma, in cui i personaggi sono costretti a scoprire chi sono veramente per cercare di rinascere anch’essi una seconda volta. Un romanzo sulle scelte drammatiche cui ci può obbligare la ferocia del caso: l’assunzione delle responsabilità dell’età adulta, che sembra appannaggio della donne e che fa della madre di Oliver una custode della speranza; o la rimozione, l’abbandono e la fuga, che segnano la resa del padre e del fratello, ma anche della ragazza amata da Oliver. Nella mappatura delle nostre fragilità, che Block traccia con mano maestra, con una pietà che nasce dalla spietatezza, stanno cifrate le possibilità di un riscatto che ci può riconsegnare all’umano.
Block è riuscito nella duplice impresa di radiografare lucidamente l’America degli ultimi decenni e le stragi che la devastano, e di calarsi intrepidamente nel cuore di tenebra della famiglia, il luogo dove si finisce sempre per giocare la partita del grande romanzo.
OLGA TOKARCZUK, I VAGABONDI traduzione di Barbara Delfino– Bompiani
“La mobilità è realtà”, dice la narratrice anonima del memorabile e magnifico romanzo I vagabondi di Olga Tokarczuk. Il titolo originale dell’opera è “Bieguni”, termine polacco che descrive un gruppo di nomadi slavi che, come mistici moderni, cercano la salvezza nel moto costante. Per rappresentare questa incessante mobilità, Olga Tokarczuk costruisce una storia fatta di pietre di un passatoio, di eventi visti di sfuggita e di personaggi mai raccontati fino alla fine, il tutto come se fosse visto dal finestrino di un’automobile che viaggia veloce. “Traggo la mia energia dal movimento, dagli scossoni di un autobus, dal rombo di un aereo, dal dondolio dei traghetti e dei treni”, ci spiega la narratrice. Di fatto, il mondo ci viene presentato come una Wunderkammer, piena di strani esemplari, bizzarre formazioni, stramberie e meraviglie. I vagabondi ci accompagna in un viaggio magico nel tempo e nello spazio, dal XVII secolo dell’anatomista olandese che scoprì il tendine d’Achille alla nostra sconcertante epoca, passando per il XIX secolo di Chopin, quando, dopo la morte del compositore, la sorella ne riportò il cuore a Varsavia, come una reliquia sacra. I vagabondi è un registro di viaggio, un diario filosofico, uno zibaldone di aneddoti, una raccolta di descrizioni poetiche, un’opera magistrale di finzione e realtà che Walter Benjamin aveva previsto quando scriveva: “[…] i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre, devono susseguirsi nei minimi dettagli, ma non perciò somigliarsi […] “.
PREMIO GREGOR VON REZZORI – CITTÀ DI FIRENZE
PER LA MIGLIORE TRADUZIONE DI UN’OPERA NARRATIVA STRANIERA
ENRICO TERRINONI
per ANTOLOGIA DI SPOON RIVER di EDGAR LEE MASTERS – Feltrinelli
Motivazione
“La “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters è in Italia un classico tra i classici, uno di quei testi sacri e – apparentemente – intoccabili che sembrano resistere impavidi all’avvicendarsi delle generazioni e all’inevitabile modificazione degli orizzonti e dei riferimenti.
Presenti nelle antologie scolastiche più coraggiose già dagli anni Sessanta, quei testi non solo non subirono, da parte dei giovani del Sessantotto, il rifiuto decretato a tutto ciò che provenisse da una qualche autorità – in particolare da quella scolastica –, ma al contrario diventarono una sorta di cifrario di un filone più sommesso e meno eclatante del movimento, quello di una smagata ma pugnace malinconia. Non fu estranea a questa bizzarra “fortuna” del testo la figura, tanto antiautoritaria quanto a propria volta autorevole, della traduttrice, Fernanda Pivano, che all’opera garantì la stessa aura “rivoluzionaria” che sarà il punto di forza delle sue versioni dei poeti della beat-generation. L’uscita poi, alla fine del 1971, dell’opera di Fabrizio De André Non al denaro, non all’amore né al cielo, che dell’Antologia costituisce una sorta di ritraduzione nel linguaggio musicale, sancì la definitiva monumentalizzazione dell’opera.
Di tutto questo ha dovuto tenere conto Enrico Terrinoni quando, inseguendo un dèmone che conosce bene, quello della sfida al limite del possibile, ha deciso di gettarsi in quest’impresa. Tradurre dopo Pivano non solo si può, ma ormai si deve: bella e “giusta” per i suoi anni, quella versione non morde più come allora, e mostra qua e là le rughe di una prassi traduttiva tutta volta all’adattamento, all’arrotondamento, alla ripulitura; tradurre dopo Pivano e De André è viceversa, ancora oggi, un azzardo e una scommessa. Quelle versioni sono dentro di noi con la forza irresistibile della musica, che le ha come fermate per sempre, consegnandole alla parte più forte, più intima e conservatrice della nostra memoria. Ci voleva tutto il coraggio, tutta l’intelligente e giovanile baldanza di chi ha ritradotto l’Ulisse per fornire una nuova versione dell’Antologia: questa di Terrinoni è bellissima e necessaria, colta e decisa, accurata e convincente; ora orgogliosamente diversa, ora, vorrei dire, affettuosamente vicina a quei due grandissimi. E sempre e fino in fondo consapevole della grande responsabilità etica del traduttore che ri-traduce un classico: la responsabilità di condurre l’opera attraverso il tempo, il proprio e quello che verrà; di lavorare, come avrebbe detto Gregor von Rezzori, per una “effimera eternità”.
2018 XII EDIZIONE, VINCE GEORGE SAUNDERS
GEORGE SAUNDERS, LINCOLN NEL BARDO – Feltrinelli Editore
George Saunders (Amarillo, Texas, 1958) ha pubblicato quattro raccolte di storie: Bengodi, Pastoralia, Nel paese della persuasione e Dieci dicembre. In più è autore dell’ormai famoso discorso agli studenti, L’egoismo è inutile. Elogio della gentilezza. Con il suo lavoro si è aggiudicato il Folio Prize e due volte il National Magazine Award. È stato incluso dal New Yorker nella lista dei “venti scrittori per il ventunesimo secolo” e nel 2013 è stato insignito del PEN/Malamud Award, il più prestigioso premio statunitense per gli autori di racconti. La rivista Time l’ha inserito fra le cento persone più influenti del mondo. Feltrinelli ha pubblicato Lincoln nel Bardo (2017), il suo primo romanzo, e Nel paese della persuasione (Ue, 2018). Ha vinto il The Man Booker Prize 2017. “Saunders ottiene l’impossibile senza sforzo: siamo fortunati ad averlo.” Jonathan Franzen
Motivazione
Pur essendo uno scrittore divertente, George Saunders è il grande poeta del dolore. Persino la sua definizione di umorismo è tanto accurata quanto sobria: “Umorismo è quando la verità ci viene svelata più rapidamente e in maniera più immediata di quanto siamo abituati”.
Il romanzo a sua firma che nel 2017 gli è valso il Man Booker Prize, Lincoln nel Bardo, esplora i particolari del dolore di un padre rispetto ad un ampio panorama di anime smarrite e salvate. Voci senza corpo parlano, con accenti appartenenti a classi sociali diverse, periodi storici diversi ed etnie diverse, di tutti i misteri della vita nell’aldilà, finché Lincoln pronuncia la parola “morte” e tutte le voci abbandono la loro spettrale esistenza. Come un Dante moderno, ma senza la medesima sistematica topografia, la fede consolatoria o i rancori terreni, Saunders ha immaginato nei dettagli un mondo tetro al di sotto dei nostri piedi.
Ha scritto brevi storie, novelle, saggi, un romanzo, persino libri per ragazzi, di cui uno è stato insignito di un premio in Italia. Ha intimato allo scrittore moderno di astenersi dal proferire giudizi, ma di essere sommamente aperto all’esperienza. Ha perfettamente obbedito ai suoi stessi comandi.
2018 FINALISTI XII EDIZIONE
KATIE KITAMURA, UNA SEPARAZIONE – Bollati Boringhieri
Nata in California nel 1979, da genitori di origine giapponese, oggi vive a New York ed è ricercatrice onoraria presso il London Consortium. Amante delle arti marziali ha pubblicato il suo primo romanzo The Longshot nel 2009, a cui ha fatto seguito Gone to the forest finalista al New York Public Librarie’s Young Lions Fiction Award. Collabora, tra altri, con The New York Times, The Guardian e Frieze.
ANDREÏ MAKINE, L’ARCIPELAGO DELLA NUOVA VITA – La Nave di Teseo
Nato in Siberia nel 1957, oggi vive in Francia dove ha vinto Prix Goncourt e Prix Médicis. Ha pubblicato una decina di romanzi tradotti in più di quaranta lingue, tra questi Il testamento francese (1995), La musica di una vita e L’amore umano. Nel 2016 è stato eletto all’Académie Française
LAWRENCE OSBORNE, CACCIATORI NEL BUIO – Adelphi
Lawrence Osborne è nato in Inghilterra e ha studiato lingue moderne a Cambridge e Harvard. Ha vissuto a Parigi per dieci anni dove ha scritto il suo primo romanzo Ania Malina e successivamente il diario di viaggi Paris Dreambook.
Si è poi spostato a New York dove vive dal 1992 alternando l’attività nella Grande Mela con lunghi soggiorni nel lontano Oriente.
Ha scritto per il New York Times, Salon, New Yorker, Financial Times, New York Observer, New York Magazine, Forbes, Conde Nast Traveler, Gourmet e Men’s Vogue.
Oltre ad Ania Malina e Paris Dreambook, ha scritto la collezione di saggi The Poisoned Embrace (1993) e un controverso libro sull’autismo intitolato American Normal (2002).
In Italia ha pubblicato per Adelphi Il turista nudo (2006), Shangri-la (2008) e Bangkok (2009).
DAVID SZALAY, TUTTO QUELLO CHE È UN UOMO – Adelphi
David Szalay, nato a Montreal nel 1974, è cresciuto nel Regno Unito, e si è laureato a Oxford. Esordisce con il romanzo London and the South-East, per il quale vince il Betty Trask Award, al quale seguono Innocent (2009) e Spring (2011). Nel 2013 è stato inserito da «Granta» nella lista dei Best Young British Novelists. Nel 2016 Tutto quello che è un uomo (Adelphi 2017) è stato tra i finalisti del Man Booker Prize.
PREMIO GREGOR VON REZZORI ALLA CARRIERA DI TRADUTTORE
CLAUDIO GROFF
Per le mirabili traduzioni di RILKE, KAFKA, BERNHARD, SCHULZE, HANDKE, e GRASS.
2017 XI EDIZIONE, VINCE MATHIAS ENARD
MATHIAS ÈNARD BUSSOLA (LA BOUSSOLE) – e/o
Mathias Enard è nato nel 1972 a Niort, un comune nei pressi di Bourdeaux. Ha studiato persiano e arabo all’École du Louvre e ha trascorso lunghi soggiorni in Medio Oriente. Vive a Barcellona da circa quindici anni. Tra i numerosi riconoscimenti di prestigio vinti, ricordiamo il Prix du Livre Inter, il Prix Décembre for Zone e il Prix Goncourt / Le Choix de l’Orient per Via dei ladri (Rue des voleurs). Nel 2015 Enard ha ricevuto il Prix Goncourt per Bussola (Boussole).
Motivazione
Bussola (Boussole), ottavo romanzo di Mathias Enard, vincitore del Prix Goncourt nel 2015, riporta i pensieri del narratore Franz Ritter nel corso di una notte di insonne a Viena. Ritter, musicologo specializzato in musica dell’Oriente, la cui mente sembra racchiudere un’intera storia culturale, si alterna tra febbri, ricordi e sogni d’oppio. Ritter rivive frammenti dei suoi numerosi viaggi a Istanbul, Aleppo, Damasco, Palmira e Teheran. L’opera celebra anche la sua storia d’amore con Sarah, una ricercatrice che studia l’attrazione esercitata dall’Oriente su vari avventurieri.
Nella malinconia crepuscolare di questo romanzo (il narratore ha appena ricevuto una terribile diagnosi medica), Ritter mostra un’erudizione sbalorditiva. In effetti, il brillante lavoro di Enard è imbevuto di quella profonda conoscenza culturale a cui la maggior parte degli scrittori fa soltanto accenni o riferimenti generici; Enard, al contrario, suppone che i suoi lettori siano tanto intelligenti e informati quanto lui. La conoscenza febbrile rappresentata in Bussola abbraccia secoli di storia, un ampio cast di personaggi e una molteplicità di terre; è il fragile ponte tra due culture in pericolo.
2017 FINALISTI XI EDIZIONE
LÁSZLO KRASNAHORKAI SATANTANGO – Bompiani
László Krasznahorkai è considerato uno dei più importanti scrittori viventi d’Ungheria. Il suo stile è stato paragonato a quelli di Kafka e Beckett. Nato a Gyula, Ungheria, nel 1954, per alcuni anni László ha lavorato come redattore. Nel 1984 è diventato uno scrittore indipendente. Ha scritto cinque romanzi, due dei quali sono stati tradotti in italiano: Satantango e Melanconia della Resistenza (Az ellenállás melankóliája). Tra i numerosi premi vinti ricordiamo il Miglior Libro dell’Anno in Germania per Melanconia della Resistenza, la Miglior Traduzione per un Libro di Narrativa del 2013 per Satantango e, nel 2015, il Man Booker International Prize. Molte sue opere sono state ridotte in film dal regista ungherese Béla Tarr.
EDUOARD LOUIS STORIA DELLA VIOLENZA (HISTOIRE DE LA VIOLENCE) – Bompani
Édouard Louis, nato Eddy Bellegueule, è nato e cresciuto nella città di Hallencourt, nel nord della Francia, dove è ambientato il suo primo romanzo Il caso Eddy Bellegueule (En finir avec Eddy Bellegueule). Il libro è stato oggetto di grande attenzione da parte dei media e acclamato per i meriti letterari e l’impegno della storia. Il libro, inoltre, ha dato vita a dibattiti e polemiche sulla percezione della classe operaia. Bestseller in Francia, è stato tradotto in oltre 20 lingue. Nel 2016, Louis ha pubblicato un secondo romanzo, Storia della violenza (Histoire de la violence). Nel raccontare la storia del suo stupro e tentato omicidio alla vigilia del Natale 2012, questo romanzo autobiografico mette a fuoco la natura ciclica e autoperpetua della violenza nella società.
VALERIA LUISELLI LA STORIA DEI MIEI DENTI (LA HISTORIA DE MIS DIENTES) – La Nuova Frontiera
Valeria Luiselli nasce a Città del Messico nel 1983. Nel 2013 La Nuova Frontiera ha pubblicato la sua raccolta di saggi Carte false (Papeles Falsos) e nel 2015 il suo primo romanzo, Volti nella folla (Los Ingravidos). Nel 2016 è stato pubblicato il suo secondo romanzo La storia dei miei denti (La historia de mis dientes), sempre per La Nuova Frontiera. Considerata una delle 20 migliori scrittrici messicane sotto i 40 anni, ha ricevuto un premio da parte della National Book Foundation per i 5 scrittori sotto i 35 anni. Il suo stile irriverente ed esilarante ricorda autori come Pound, Benjamin e Vila-Matas.
CLEMENS MEYER ERAVAMO DEI GRANDISSIMI (ALS WIR TRÄUMTEN) – Keller
Clemens Meyer è nato nel 1977 a Halle an der Saale, in seguito si è trasferito nella Germania dell’Est. Meyer è stato oggetto di grande attenzione per il suo primo romanzo Eravamo dei grandissimi (Als wir träumten, 2006), a cui è stato assegnato il Rheingau Literatur Preis e che è stato adattato in film. Il suo secondo libro, Die Nacht, die Lichter (2008), ha vinto il Premio della Fiera del Libro di Lipsia. Gewalten, il suo terzo libro, è stato pubblicato nel 2009 e il suo romanzo Im Stein del 2013 è stato incluso nella long list dell’International Man Booker Prize.
PREMIO GREGOR VON REZZORI
PER LA MIGLIOR TRADUZIONE DI UN’OPERA DI NARRATIVA STRANIERA
ANNA D’ELIA
TERMINUS RADIOSO di Antoine Volodine (66thand2nd)
2016 X EDIZIONE, VINCE MIRCEA CĂRTĂRESCU
MIRCEA CĂRTĂRESCU ABBACINANTE. IL CORPO. (Blinding) – Voland – Traduzione di Bruno Mazzoni
Mircea Cărtărescu è nato a Bucarest nel 1956. Poeta, romanziere, musicista, giornalista, membro dell’Unione degli Scrittori rumeni, del PEN rumeno e del Parlamento Culturale Europeo, è uno dei più interessanti scrittori dell’Est Europeo. Ha vinto premi importanti sia in Romania che all’estero tra cui il Premio Internazionale per la Letteratura nel 2012 a Berlino, l’anno successivo lo Spycher-Leuk in Svizzera e nel 2015 il Premio di Stato per la Letteratura Europea in Austria. Tra i suoi libri pubblicati in Italia: Nostalgia, Travesti, Perché amiamo le donne, Abbacinante (editi da Voland).
Motivazione
Uno dei libri più travolgenti e originali della nostra epoca, Abbacinante brulica di insetti che sembrano il prodotto di allucinazioni, esseri semi-umani, bachi e farfalle, come nel Pasto nudo di Burroughs. Si tratta di un’autobiografia mitica, come il Paradiso di José Lezama Lima. Opera originale e inventiva come Cent’anni di solitudine; come quella, sarà di ispirazione per innumerevoli altri scrittori in una miriade di lingue. Ma fare paragoni di questo genere è un esercizio senza senso, perché Abbacinante. Il corpo è assolutamente originale. Unico.
È un libro caratterizzato da un tema conduttore medico che ci accompagna nelle tante visite alle cliniche – assolutamente inadeguate — di Bucarest, dove il narratore si frigge il cervello quando si autosomministra degli elettrochoc. Condivide il reparto con due ragazze psicopatiche e sadiche che, ogni qualvolta siano presenti infermieri o medici, ostentano un comportamento normale, mentre invece complottano tra loro per riuscire a umiliarlo e ferirlo.
Il narratore ha un attaccamento morboso per sua madre nei cui confronti ha fantasie grottesche. Viene spesso spinto giù per misteriosi scivoli (ai piedi di un albero, nel sottosuolo dell’ospedale), per finire in mondi abbaglianti abitati da migliaia di mostri ibridi. La storia della Romania e la vita insignificante di Mircea si svolgono in sequenza e si intrecciano, sempre in versioni da incubo. Tutto obbedisce a una logica onirica – con improvvisi salti di scala, di probabilità, di luogo e di generi. Un momento ci troviamo in un grattacielo che sembra un condominio in architettura di stile sovietico, una struttura servita da un inquietante ascensore (un incubatoio di farfalle) che attraversa piani misteriosi e senza inquilini; e subito dopo siamo in un parco pubblico, a osservare le statue degli eroi nazionali.
La scrittura è talmente elettrica e imprevedibile che il lettore non riesce a voltar pagina con sufficiente rapidità. Il libro che stiamo leggendo viene spesso evocato, mentre viene scritto. Si contrasta la vita cittadina della Romania con quella rurale. Il narratore bambino possiede una sua percezione mitica del bombardamento di Bucarest nella seconda guerra mondiale. Sacrifici umani, fantasie su New Orleans, eresie religiose, urla senza fine – questo libro si pone sull’orlo della follia, come Les Chants de Maldoror. Forse è tenuto insieme dal suo narratore, innocente, alla ricerca, giovanile, che tutto teme, tutto accetta, tutto studia. È un libro delle meraviglie, un circo popolato da belle e da bestie, un testo che sfonda le porte della percezione e ci stupisce con prodigi dell’invenzione e dell’immaginario. Con la sua perenne alternanza tra malvagità e incantesimo, risulta sempre nuovo e imprevedibile. Cartarescu è il moderno Hieronymus Bosch in prosa, e Abbacinante è il suo Giardino delle Delizie.
2016 FINALISTI X EDIZIONE
DANY LAFERRIÈRE TUTTO SI MUOVE IN TORNO A ME (The world is moving around me) – 66thand2nd – Traduzione di Giuseppe Grimonti Greco e Francesca Scala
Danny Laferrière è nato a Port-au-Prince, Haiti, nel 1953. Nel 1976 ha dovuto lasciare il suo paese e si è stabilito a Montréal. Dopo diversi lavori è diventato un noto giornalista. Nel 1985 pubblica il suo primo romanzo, Come fare l’amore con un negro senza fare fatica (La Tartaruga) da cui è stato tratto un film. Nel 2009 ha vinto il Prix Médicis con L’enigma del ritorno. Nel 2013 è stato eletto all’unanimità membro dell’Académie Française dove occupa il seggio di Montesquieu, diventando così il primo haitiano, ma anche il primo canadese ad ottenere questa onorificenza. Tra i vari libri, quelli pubblicati in Italia: Verso il Sud (La Tartaruga), Paese senza cappello (Nottetempo), Tutto si muove intorno a me (66thand2nd).
YIYUN LI PIÙ GENTILE DELLA SOLITUDINE (Kinder than solitude) – Einaudi – Traduzione di Laura Noulian
Yiyun Li è nata a Pechino nel 1972. Nel 1996 si è laureata in Medicina, poi si è trasferita negli Stati Uniti. Ora vive in California. Ha collaborato con «The Paris Review«», «Glimmer Train», «Prospect» e «The New Yorker» che, nel 2010, l’ha nominata tra i 20 migliori scrittori americani con meno di 40 anni. Nello stesso anno ha ricevuto il prestigioso McArthur “Genius” Prize. Il suo primo libro, Mille anni di preghiere (Einaudi), ha vinto il Frank O’Connor Short Story Award, il Pen/Hemingway Award e il Guardian First Book Award, mentre il suo romanzo I girovaghi (Einaudi) ha vinto la medaglia d’oro del California Book Award for Fiction. Il suo libro più recente è Più gentile della solitudine (Einaudi).
DINAW MENGESTU TUTTI I NOSTRI NOMI (All our names) – Frassinelli – Traduzione di Mariagiulia Castagnone
Dinaw Mengestu è nato ad Addis Abeba nel 1978. A due anni con la madre e la sorella ha raggiunto il padre negli Stati Uniti durante gli anni del “Terrore rosso”. I primi due romanzi, Le cose che porta il cielo (Piemme) e Leggere il vento (Piemme) hanno hanno subito riscosso l’attenzione della critica ed ha ricevuto alcuni dei premi letterari più prestigiosi degli Stati Uniti, come il Guardian First Book Award, il Los Angeles Times Art Seidenbaum Award for First Fiction e l’Ernest J. Gaines Award for Literary Excellence, tra altri. Inoltre, nel 2012 ha ricevuto il MacArthur “Genius” Prize. Tutti i nostri nomi (Frassinelli) è il suo terzo romanzo.
LORRIE MOORE BARK (Bark) – Bompiani – Traduzione di Alberto Pezzotta
Lorrie Moore, nata a New York nel 1957, è famosa sopratutto per i suoi racconti pieni di umorismo e pathos allo stesso tempo. Ha contribuito al “Paris Review” e il suo primo racconto apparso sul “New Yorker” venne incluso da John Updike in The Best American Short Stories of the Century. Ha ricevuto molti riconoscimenti tra cui nel 1988 l’O. Henry Award, l’Irish Times International Prize for Literature per Ballando in America (Bompiani), il PEN/ Malamud Award e il Rea Award. Ed è membro dell’American Academy of Arts and Sciences e dell’American Academy of Arts and Letters. Editi da Bompiani sono usciti Tutto da sola, Ballando in America, Oltre le scale e Amo la vita e Bark.
PREMIO GREGOR VON REZZORI
PER LA MIGLIOR TRADUZIONE DI UN’OPERA DI NARRATIVA STRANIERA
FULVIO FERRARI
L’ARTE DI COLLEZIONARE MOSCHE by Fredrik Söjberg (Iperborea)
Fulvio Ferrari è nato a Milano nel 1955. Ha studiato presso le università di Torino, Milano e Stoccolma. Dal 1981 svolge l’attività di traduttore letterario, traducendo prima dal tedesco, poi dallo svedese, dal norvegese e dall’olandese. Durante la sua attività di traduttore ha curato le versioni italiane di alcuni testi medievali nordici e olandesi. Tra gli autori da lui tradotti figurano: Hölderlin, Klaus Mann, Sven Delblanc, August Strindberg, Göran Tunström, Stig Dagerman, Fredrik Sjöberg, Knut Hamsun, Cees Nooteboom, Adriaan van Dis. È attualmente direttore del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.
2015 IX EDIZIONE VINCE VLADIMIR SOROKIN
LA GIORNATA DI UN OPRIČNIK (Atmosphere Libri) Traduzione di Denise Silvestri
Vladimir Sorokin è nato a Mosca nel 195. È stato anche sceneggiatore, drammaturgo, pittore, grafico e librettista per il teatro Bolshoj. Provocatore, irriverente, deve la sua notorietà internazionale al romanzo La coda (pubblicato in Italia da Guanda). Ghiaccio, uscito in Russia nel 2002, è stato pubblicato da Einaudi nel 2005. I suoi libri sono stati tradotti in ventidue lingue. Ha ricevuto il titolo di Chevalier des Arts e Lettres ed è membro del PEN russo.
Questa la motivazione con cui la giuria ha assegnato il Premio a Vladimir Sorokin:
“Il romanzo di Vladimir Sorokin si svolge nell’anno 2027 in una Russia fittizia. Racconta un giorno della vita di un Opričnik. E’ un riferimento a una setta creata da Ivan il Terribile nel 1565 con lo scopo di eliminare i suoi nemici spesso ricorrendo a mezzi brutali e cruenti. Nel mondo raccontato da Sorokin gli eccessi dell’impero di Ivan il Terribile e della Russia di Putin sono ampliati e resi nei più fantasiosi ed orrendi dei modi. Nessun dettaglio ci è risparmiato.
Dallo stupro di gruppo della moglie di un nobile sospetto, trovata nascosta in una gigantesca stufa ad una visita degli Opričnik ad una sauna dove si godono un’orgia sublimata da droghe e dai vapori del kvass e poi si rilassano ascoltando Rachmaninov sorseggiando champagne dello Szechuan.
Questi odierni Opričniki invece che con i neri stalloni del tempo antico si spostano su delle Mercedes russe sul cui cruscotto sono appese delle teste di cane tagliate di fresco. Una delle particolarità di questo libro è il linguaggio inventato da Sorokin per raccontare questa nuova Russia. E’ un mish-mash di gergo di business, di diktat della Russia imperiale,
di propaganda sovietica e di folklore.
Al primo impatto La giornata di un Opricnik sembra essere precipitato tra noi da un altro pianeta, ma ha un posto ben radicato nella tradizione russa. Si sente l’eredità di due grandi satiristi, Bulgakov e Gogol nel cumulo barocco dei dettagli, nell’abile tessitura di fantasia e di realtà, nell’azione senza sosta. Naturalmente si sentono degli echi di Solgenitsin da Ivan Denisovic come pure la vertiginosa abilità linguistica ci fa pensare a Dostoevskij.
Sorokin piace non solo per la sua continuità col passato, ma perché ne fa qualcosa di estremamente nuovo, terrificante e comico. Edmund White lo ha definito con grande efficacia “un diamante nero”.
2015 XI EDIZIONE FINALISTI
DAŠA DRNDIĆ TRIESTE (Bompiani) Traduzione di Ljiljana AvirovicDaša Drndić è nata in Croazia. Laureata all’Università di Belgrado – Facoltà di Filologia presso il Dipartimento di lingua e letteratura inglese, con una borsa di studio Fullbright, continua il suo corso di studi in Teatro e Comunicazione negli Stati Uniti, conseguendo infine il dottorato con una ricerca su Sinistra e Protofemminismo, presso la Facoltà di discipline umanistiche e Scienze sociali all’Università di Reika (Fiume), Croazia. Ha scritto una trentina di sceneggiati radiofonici, pubblicato prose e poesie. È scrittrice di romanzi tradotti in inglese, francese, polacco, sloveno, tedesco, slovacco.
ANDREW MILLER PURA (Bompiani) Traduzione di Sergio Claudio Perroni
Andrew Miller è nato a Bristol nel 1960. Ha vissuto in Spagna, Giappone, Irlanda e Francia, e ora vive nel Somerset. Il suo primo romanzo, Il talento del dolore, è stato pubblicato nel 1997 e ha vinto il James Tate Black Memorial Prize per la narrativa, l’International IMPAC Dublin Literary Award e il Premio Grinzane Cavour. Sono poi seguiti altri cinque romanzi, tra cui Pura, che ha vinto nel 2011 il Costa Book of the Year Award. Tra gli altri riconoscimenti: Ossigeno è stato finalista al Booker Prize 2001 e al Whitbread Novel Award 2001. Pura è stato finalista al Walter Scott Prize 2012, al South Bank Sky Arts Award e all’Independent Booksellers Week Book Award.
GUADALUPE NETTEL IL CORPO IN CUI SONO NATA (Einaudi) Traduzione di Federica Niola
Guadalupe Nettel è nata a Città del Messico nel 1973. È autrice di quattro raccolte di racconti tra cui Pétalos y otras historias incómodas (2008) e El matrimonio de los peces rojos (2013); e di un romanzo: El huésped (2006). Ha ricevuto diversi riconoscimenti tra i quali il premio franco-messicano Antonin Artaud (2008), il premio tedesco Anna Seghers (2009) e il Premio de narrativa breve Ribera del Duero (2013). Il corpo in cui sono nata è il suo primo libro tradotto in italiano.
TOMMY WIERINGA QUESTI SONO I NOMI (Iperborea) Traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di PalermoTommy Wieringa, nasce nel 1967 a Goor in Olanda, al confine con la Germania, e debutta nel 1995 raggiungendo la fama internazionale nel 2002 con il romanzo Alles over Tristan (Tutto su Tristano), che si aggiudica il Premio Halewijn ed è nominato al prestigioso Premio AKO. Con Joe Speedboat vince il Premio Bordewijk nel 2006 e con Questi sono i nomi conquista la critica che l’ha paragonato a Salinger, John Irving e Paul Auster. Wieringa scrive per varie testate ed è colonnista di De Volkskrant.
PREMIO GREGOR VON REZZORI
PER LA MIGLIOR TRADUZIONE DI UN’OPERA DI NARRATIVA STRANIERA
FEDERICA ACETO END ZONE di Don DeLillo (Einaudi)
Federica Aceto si è laureata in lingue e letterature straniere moderne all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Dopo la laurea ha vissuto diversi anni in Irlanda dove ha conseguito un master in Letteratura anglo-irlandese presso lo University College Dublin e ha lavorato come language assistant nel dipartimento di italianistica della stessa università. Traduce narrativa dall’inglese dal 2004. Tra gli autori da lei tradotti: Martin Amis, J.G. Ballard, Don DeLillo, Stanley Elkin, A.L. Kennedy, Ali Smith. Oltre a occuparsi di traduzione, insegna lingua inglese nella scuola media della casa circondariale di Rebibbia.
2014 VIII EDIZIONE VINCE MAYLIS DE KERANGAL
Maylis de Kerangal, Nascita di un ponte (Feltrinelli)
È Maylis de Kerangal con Nascita di un ponte – Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi con Alessia Piovanello – la vincitrice dell’ottava edizione del Premio Gregor von Rezzori per la migliore opera di narrativa straniera tradotta in Italia. La scrittrice francese è stata premiata oggi alla presenza del Sindaco di Firenze Dario Nardella. Ad annunciare la vincitrice, nel corso di una cerimonia che si è svolta nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, la giuria composta da Ernesto Ferrero, Beatrice Monti della Corte, Edmund White, Alberto Manguel e Andrea Bajani.
Questa la motivazione con cui la giuria ha assegnato il Premio a Maylis de Kerangal:
“In tempi di solipsismi, di narrazioni intimidite al cospetto di un mondo troppo grande per poter essere raccontato, un romanzo corale, epico come Nascita di un ponte, arriva come un meteorite. La storia è quella di un ponte faraonico che prova a innalzarsi in un’America immaginaria, dove la giungla e il futuro vanno a braccetto giorno dopo giorno. Ma la storia è soprattutto quella di tutti gli uomini e tutte le donne che si muovono, in tutto il pianeta, per raggiungere il ponte. Ciascuno con la propria storia, e con famiglie sconvolte dal Mondo Nuovo che il Ponte in qualche modo simboleggia. E così stanno lì, insieme: una calamita e insieme a lei una miriade di limature di ferro che risalgono il tempo e lo spazio.
È in qualche modo un Furore al contrario, questo libro di Maylis de Kerangal: non la miseria che mette in marcia le masse – tutte insieme – ma il suo contrario, il denaro che si alza nel cielo nelle fattezze di un ponte, come un sol dell’avvenire fatto di acciaio e calcoli, sudore, viti e bulloni. In comune un coro di voci, la letteratura che accetta la sfida di raccontare tutto il mondo e non soltanto una scheggia conficcata da qualche parte. Il tutto tenuto insieme da una lingua intensa, attenta al dettaglio, incalzante. È questa lingua il vero prodigio del romanzo, la prova di una scrittrice che alla letteratura chiede ancora tutto, guardando il mondo dritto negli occhi”.
2014 FINALISTI
Leopoldo Brizuela, Una Stessa Notte (Ponte alle Grazie)
Leopoldo Brizuela (Argentina, 1963) è fra i maggiori scrittori argentini della sua generazione. Il suo romanzo Inglaterra ha vinto il prestigioso premio Clarín ed è stato tradotto in molte lingue da case editrici di grande fama. Con Una stessa notte ha vinto il premio Alfaguara 2012. Collabora con i maggiori quotidiani argentini.
Dave Eggers, Ologramma per il re (Mondadori)
Dave Eggers (Stati Uniti, 1970) è l’autore di nove libri tra cui: L’opera struggente di un formidabile genio (2001), Erano solo ragazzi in cammino (2008, finalista del National Book Critics Circle Award), Le creature selvagge (2009) e Zeitoun (2010). È inoltre il fondatore di una casa editrice indipendente, ‘McSweeneys’ e di un mensile ‘The Believer’. Ha scritto insieme alla moglie Vendela Vida la sceneggiatura del film Away We Go, diretto da Sam Mendes. Eggers è il fondatore di 862 Valencia una scuola di scrittura creativa no profit per bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni. Vive nel Northern California con la sua famiglia.
Georgi Gospodinov, Fisica della malinconia (Voland)
Georgi Gospodinov (Bulgaria, 1968) è poeta innovativo e raffinato, prosatore e studioso di letteratura, oggi considerato uno dei più noti e promettenti autori bulgari. Con il suo primo romanzo, Romanzo naturale (1999), accolto come una vera rivelazione, ha immediatamente incontrato il favore di critica e pubblico e ha ottenuto il primo premio del concorso Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo. È tradotto in varie lingue, fra cui l’inglese, il francese, il ceco, il serbo.
Tom McCarthy, C (Bompiani)
Tom McCarthy (Inghilterra, 1969) è conosciuto nel mondo dell’arte per la sua partecipazione al gruppo avanguardista International Necronautical Society (INS). Il suo primo romanzo Remainder è uscito nel 2005 e nell 2008 ha vinto Believer Book Award che diventera’ un film. Con il romanzo, C (2012) è stato finalista al Man Booker Prize 2010 e dell Walter Scott Prize. Nell 2013 ha ricevuto dalla Yale University, il Windham Campbell Prize for Fiction.
2013 VII EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera
Juan Gabriel Vásquez, The Sound of Things Falling
(Ponte alle Grazie, 2012, translation by Silvia Sichel)
La Motivazione
Fra gli scrittori sudamericani viventi Juan Gabriel Vasquez occupa senz’altro un posto di primissimo piano.
Nato a Bogotà, in Colombia, trascorre diversi anni in Europa, ma poi torna a vivere in patria. Le sue pagine affrontano a muso duro le tante facce della realtà colombiana, centro del traffico internazionale di droga. “Sono nato insieme al business della droga, quando i mercanti americani hanno scoperto gli incredibili proventi che si potevano ottenere con la cocaina”.
Il suo nuovo romanzo, Il rumore delle cose che cadono, è una storia di cospirazioni e di sangue, di personaggi posti di fronte a misteri la cui soluzione può risolvere anche le loro vite spezzate. È un noir, ma con la forza della vera letteratura. È un libro che si divora, ma che costringe a profonde riflessioni sul destino e sulla morte.
La prosa di Vasquez è capace di concatenare la delicatezza degli incontri fra due esseri umani e la ferocia di crimini che coinvolgono intere popolazioni. È, il suo, il realismo meno magico che si possa immaginare, ma è un realismo commovente e lancinante insieme. La sua prosa è la linea che unisce le nostre vite quotidiane e normali a quelle forze che, lasciate incontrollate, possono condizionare e manomettere e distruggere le nostre esistenze. E questa è una forma di magia potentissima.
La Miglior Traduzione
Alessandro Fo, versione italiana di Eneide, di Publio Virgilio Marone (Einaudi 2012)
La vitalità di un mondo si misura sulla sua inclinazione a interrogarsi su se stesso. Per questo dobbiamo essere grati ogni volta che un editore ripubblica un classico in una nuova traduzione. Perché ci offre l’occasione di rileggere e riascoltare cose remote e conosciute in un linguaggio nuovo e sconosciuto, e tuttavia profondamente nostro, situato com’è nel nostro tempo. Se poi quel classico è l’Eneide, rileggere equivarrà a riconsiderare il nostro essere nel mondo, a riproporre ancora una volta quel rapinoso enigma che nessuno – non Virgilio e non il suo più commosso interprete, quello Hermann Broch che lo stesso Rezzori ammirava immensamente – ha mai potuto sciogliere.
Alessandro Fo non è soltanto uno studioso e un traduttore di prim’ordine; è anche, e ben più intimamente, un poeta e un maestro che nel colloquio appassionato e sommesso – con gli autori, con gli allievi, con i lettori – ha trovato e trova, ogni giorno di nuovo, il senso della propria vocazione. Così deve essere stata una sorta di devozione, di responsabilità etica non solo “resistenziale”, non solo vòlta a custodire e a serbare ma anche a riaffermare e a rifondare, ciò che ha spinto Fo ad affrontare l’enorme fatica di studio e di ricognizione, l’inàne lotta con l’angelo della lingua e con i demòni della metrica e del ritmo, e anche quella più segreta e feroce battaglia con i propri limiti e la propria fragilità nel dare la voce, la propria, a un modello inarrivabile. Sostiene, Fo, di aver lavorato, e lottato, cercando di “limitare le perdite”. Noi riteniamo invece che abbia radiosamente sbaragliato le schiere, e che la sua versione sia un autentico atto di restituzione, al nostro tempo, dell’originale e dell’universo che gli ruota attorno. E di questo sentiamo qui, oggi, il desiderio di ringraziarlo.
Finalisti




2012 VI EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera
Enrique Vila-Matas, Esploratori dell’abisso (Feltrinelli 2011, traduzione di Pino Cacucci)
La Motivazione
«Enrique Vila-Matas appartiene ad una razza di cannibali letterari, cioè di quegli scrittori che si nutrono della letteratura stessa. I suoi antenati sono Diderot, Raymond Russell e W.G. Sebald, e in ogni suo libro è stato il cronista di scrittori che non volevano scrivere, lettori stufi della lettura, libri composti di pagine vuote, storie di vite vissute che sono una pura finzione. Esploratori dell’abisso è una collezione di saggi che diventano finzione, racconti che diventano reali e semplicemente pagine di uno scrittore troppo preoccupato di verità letteraria per tenere conto dei confini tra quello che consideriamo un mondo reale e quello che consideriamo un mondo sognato.
Il suo stile, preciso come uno scalpello, non è ingombrante. Sembra solo che pensi ad alta voce con poetica precisione i problemi essenziali di un credo letterario.
In uno dei suoi scritti, Vila-Matas ha dichiarato: “lotto contro la realtà con finzione”. Come tutte le cose che ha detto, questo è solo una maschera. Con le pretese di combattere la realtà, Vila-Matas ce la svela usando la sua abilità di narratore e trasforma il nostro mondo quotidiano in qualcosa di lucido, luminoso e meravigliosamente commovente.»
La Miglior Traduzione
Bruno Berni per la traduzione di I figli dei guardiani di elefanti di Peter Høeg.
La Motivazione
«Dare voce ai bambini e agli adolescenti è, in letteratura, una prova ad alto rischio. Scrittore curioso e multiforme, Peter Høeg si è divertito in questo serissimo gioco, costruendo con sapienza un’architettura insieme robusta e ariosa, conscia dei precedenti illustri (da Dickens a Mark Twain) ma insieme originalissima e fortemente caratterizzata. Tradurre e rendere godibile e convincente un simile impasto, leggero all’apparenza ma in realtà estremamente complesso e stratificato, ha costituito una sfida che solo un profondo conoscitore della realtà danese come Bruno Berni poteva sperare di vincere. Mediatore infaticabile delle letterature nordiche nel nostro paese, forte di una frequentazione appassionata e prolifica con i massimi autori della Danimarca, Berni ha dimostrato di sapersi muovere con maestria anche nel registro ilare e giocoso, rendendo nella nostra lingua tutte le asprezze, le iperboli, le buffonerie, le immagini fantastiche dell’originale, ma senza mai derogare dal principio del rigore filologico e senza mai indulgere al facile ammiccamento, a uno pseudolinguaggio banalmente “giovanile”. Come sa bene chiunque pratichi il mestiere di traduttore letterario, nulla è più insidioso della apparente “facilità”, della “scorrevolezza”, della “levità”. Restituirle senza farne una caricatura o, peggio, una involontaria parodia, richiede raffinata perizia, massima sorveglianza, grandissima fatica. Nascondere – come suggeriva Hofmannsthal – la profondità nella superficie è una delle più ardue prove cui sia chiamato un traduttore. Ma è anche il miglior banco di prova del suo valore. Per questa ragione siamo lieti quest’anno di premiare Bruno Berni.»
Finalisti
Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia (Einaudi)
Jenny Erpenbeck, Di passaggio (Zandonai)
Damon Galgut, In una stanza sconosciuta (e/o)
Jón Kalman Stefánsson, Paradiso e inferno (Iperborea)
2011 V EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera
Aleksandar Hemon, Il ProgettoLazarus (Einaudi, translation by Maurizia Balmelli)
Aleksandar Hemon è nato a Sarajevo nel 1964 e dal 1992 vive negli Stati Uniti, dove è rimasto bloccato dallo scoppio della guerra in Bosnia poco tempo dopo il suo arrivo. Tre anni più tardi ha cominciato a scrivere in inglese e nel 2004 ha ricevuto uno dei più grandi riconoscimenti, il prestigioso “genius grant” della MacArthur Foundation. Presso Einaudi ha pubblicato Spie di Dio nel 2000 e Nowhere Man nel 2004. Il progetto Lazarus, finalista al National Book Award 2008.
La Motivazione
«Il progetto Lazarus di Aleksandar Hemon è un romanzo di 290 pagine, ma in tutto il libro non c’è nemmeno un paragrafo superfluo. Questo romanzo potente (il terzo libro pubblicato da Hemon) racconta due storie ambientate in momenti storici diversi. La prima vicenda, che risale all’inizio del ventesimo secolo, riguarda un immigrato ebreo di nome Lazarus, che viene scambiato per un pericoloso assassino anarchico e viene ucciso a Chicago. Lazarus viene rapidamente sepolto, ma (in un’orrida variazione sul nome), il suo corpo viene dissotterrato da studenti di medicina che lo privano degli organi. Olga, la sorella di Lazarus, si batte per recuperare il corpo del fratello, per dargli degna sepoltura, nel rispetto del loro credo religioso, e per riabilitarne il nome.
L’altra storia, che si svolge in epoca contemporanea, riguarda uno scrittore bosniaco di nome Vladimir Brik, residente a Chicago, che comincia a interessarsi della vicenda di Lazarus. Cerca di ricostruirla e di riviverla, tornando in Europa orientale insieme a un amico fotografo. La violenza casuale della Sarajevo di oggi (il fotografo viene ucciso da un passante che vuole provare il suo nuovo fucile) si sovrappone alla violenza dei poliziotti della Chicago di inizio secolo.
La narrazione di Hemon è sempre vivace e autentica, sia quando descrive come Brik si frattura una mano pestando un odioso ruffiano, sia quando racconta di come, nella Chicago dei primi anni del Novecento, un ebreo viennese cerca di ottenere informazioni incriminanti dalla sorella di Lazarus con lusinghe. La maggior parte dei romanzi perdono slancio o interesse o si ripetono; Il progetto Lazarus invece rimane conciso, dinamico e veritiero dall’inizio alla fine.
Lo stile narrativo di Hemon è sempre avvincente. Nel momento in cui si comincia a leggere una pagina, o anche solo una frase, si viene trascinati dalle potenti correnti della narrazione. La sintassi è lineare, perfino ruvida, ma la sensibilità di Hemon è attenta a quei dettagli che riempiono di vita ogni ritratto e ogni scena.
Viviamo in un mondo frammentato di immigrazione, pulizia etnica, guerre tribali, globalizzazione, sfruttamento del terzo mondo da parte del primo. Sebbene tale frammentazione abbia raggiunto l’apogeo ai giorni nostri, essa è cominciata con l’inizio della modernità e con l’emergere di un’economia internazionale e di una guerra industrializzata. Senza mai essere didascalico o saggistico, Hemon ci pone di fronte ai grezzi dati umani di una società violenta e disgregata e ne fa risalire le origini all’alba del ventesimo secolo. Tuttavia, queste grandi forze sono sempre messe in evidenza da personaggi memorabili, che spesso agiscono e reagiscono ignorando completamente l’esistenza dell’altro.
Aleksandar Hemon dissipa questa ignoranza e ci consente di capire ciò che appare misterioso e inaccessibile all’occhio non istruito. È la nostra guida tra le grandi incomprensioni che minano la coesione del nostro mondo. Grazie all’occhio di Hemon, possiamo finalmente rendere trasparente l’opaco e comprensibile l’imperscrutabile. Hemon è un maestro della narrazione e i suoi racconti hanno un ritmo svelto, personaggi convincenti e particolari, scene che si imprimono nella nostra coscienza con la forza accecante del flash di una macchina fotografica scattato nel buio. Ma le sue narrazioni non sono soltanto piacevoli e avvincenti; sono anche emblematiche della politica controversa dei giorni nostri.»
La Miglior Traduzione
Franca Cavagnoli (Feltrinelli)
Tommaso Pincio (minimum fax)
Roberto Serrai (Marsilio)
The prize for the best Italian translation of a work of foreign fiction awarded ex-aequo for the translation of The Great Gatsby by F. Scott Fitzgerald
Finalisti
Marie Ndiaye, Tre donne forti (Giunti Editore)
Marie Ndiaye è nata a Pithivier nel 1967 da padre senegalese e madre francese. Si è laureata a L’Académie de France a Roma. Tra il 1985 e il 2009 ha pubblicato più di venti opere tra romanzi, racconti e commedie teatrali. In Italia sono stati pubblicati alcuni suoi romanzi tra cui In Famiglia, Il Pensiero dei sensi, La diavolessa, Tutti i miei amici, Papà è tornato, Fuori stagione, Una stretta al cuore e Tre donne forti. Ha vinto il Prix Femina nel 2001 e il Prix Goncourt nel 2009 per Tre donne Forti. Oggi vive a Berlino con il marito e tre figli.
David Mitchell, I mille autunni di Jacob de Zoet (Frassinelli)
David Mitchell, nato nel 1969 a Southport, nel Lancashire, è laureato in Letteratura inglese e americana e ha conseguito un ulteriore diploma in Letteratura comparata. Ha vissuto in Giappone, insegnando inglese, dal 1994 al 2003, quando si è trasferito in Irlanda, dove attualmente risiede con la moglie e figli. Insignito di numerosi premi, ha pubblicato Nove gradi di libertà, vincitore del Mail on Sunday/John Llewellyn Rhys Award; in seguito, Sogno numero 9 e L’atlante delle nuvole, entrambi finalisti del Man Booker Prize, e A casa di Dio. I mille autunni di Jacob de Zoet è finalista al Man Booker Prize 2010.
Miguel Syjuco, Ilustrado (Fazi)
Miguel Syjuco è nato e cresciuto a Manila. Il suo libro d’esordio Illustrado ha vinto il Man Asian Literary Prize, Hugh MacLennan Prize e il Palanca Award. E’ stato finalista per il Grand Prix du livre in Montreal, per l’Amazon First Novel Award e per il Commonwealth First Book Prize per il Canada e i Caraibi. Sarà tradotto in più di quindici lingue. Syjuco si è laureato in letteratura inglese all’Università di Manila, un master in scrittura creativa alla Columbia University e un dottorato in letteratura all’Università di Adelaide. Ha scritto per i seguenti giornali: New York Times, International Herald Tribune, Drawbridge, Walrus, Globe & Mail, CBC. Attualmente vive a Montreal.
Wells Tower, Tutto bruciato, tutto devastato (Mondadori)
2010 IV EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera
Percival Everett, Wounded (Nutrimenti)
Percival Everett è nato a Fort Gordon in Georgia USA nel 1957. Distinguish Professor alla University of Southern California. Nel 2002 ha vinto il premio Hurston/Wright Legacy Award per il suo romanzo Erasure. Ha scritto libri di racconti, due volumi di poesie e romanzi tra cui, La cura dell’acqua, Deserto americano e Ferito. Percival Everett è un personaggio molto eclettico, musicista jazz e addestratore di cavalli.
La Motivazione
Romanzo felicemente iperbolico, Ferito di Percival Everett ci mostra innanzitutto l’acronica e l’attuale New Arcadia americana, il suo intatto ‘sublime’ naturale –il Deserto Rosso del Wyoming, una specie di vertiginoso, statico deuteragonista delle azioni e dei destini degli uomini. Ma anche, indistinguibili, l’ansia e il tormento dell’identità americana: quali siano i limiti, la responsabilità, la stessa morfologia ideale dell’individuo nei confronti degli altri, dei vicini, dei dissimili, dei non del tutto noti e accettabili.
Nel suo ranch, a un passo dall’illimitato deserto, il protagonista John Hunt, cowboy nero laureato a Berkeley e studioso di Kandinskij e di Klee, alleva cavalli e riflette, come un filosofo, sul valore universale della pietà e sulle sue applicazioni particolari. Le smentite della storia e il paradosso della fatale, conseguenziale ferocia dello stesso Hunt di fronte all’ingiustizia, costituiscono il fulcro anche diegetico di un libro eccezionale: la cui vicenda corre verso la sua dura conclusione mostrando i segreti e i sussulti di un’umanità che un momento si contraddice e precipita nel disumano, ma poi intimamente e strutturalmente ‘si mantiene’ come indicazione, suggerimento, speranza.
La Miglior Traduzione
Maurizia Balmelli, Cormac McCarthy’s Suttree (Einaudi).
Maurizia Balmelli nata a Locarno, Svizzera nel 1970, ha vissuto a lungo a Parigi dove ha studiato teatro all’École International du Théâtre Jacque Lecoq e mosso i primi passi nell’editoria collaborando come lettrice con la casa editrice Hachette. Nel 1996 è approdata a Torino per frequentare il Master Golden e due anni dopo ha avviato la sua prima traduzione, Io sono il tenebroso di Fred Vargas. Da allora viaggia con la sua gatta tra la Svizzera e l’Italia, traducendo dal francese e dall’inglese per diverse case editrice e conducendo laboratori di traduzione letteraria. Tra gli autori tradotti, Romani Gary, J.M.G. Le Clézio, Agota Kristof, Emmanuel Carrère. Attualmente traduce il romanzo di Martin Amis.
Finalisti
Héctor Abad , L’oblio che saremo (Einaudi)
È nato a Medellín, Colombia nel 1958. Romanziere, giornalista e traduttore di opere tra cui Italo Calvino, Leonardo Sciascia, Primo Levi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Natalia Ginzburg. Tra i suoi romanzi, Angosta e El Olvido que Seremos (L’oblio che saremo – Einaudi, 2009). I suoi romanzi sono stati tradotti in numerose lingue.
Nam Le, I fuggitivi (Guanda)
È nato in Vietnam nel 1978 e cresciuto in Australia. Il suo primo romanzo The Boat (I Fuggitivi – Guanda) è stato accolto dalla stampa con grande interesse e ha avuto i seguenti premi: PEN/Malamud Award, Australian Prime Minister’s Literary Award, Anisfield-Wolf Book Award, Dylan Thomas Prize, The Melbourne Prize, l’U.S. National Book Foundation “5 Under 35” Fiction Selection e giudicato il “Libro dell’anno” in numerosi paesi. I Fuggitivi è stato tradotto in tredici lingue. Nam Le è il redattore fiction della Harvard Review.
Jean Echenoz, Correre (Adelphi)
È nato a Orange nel 1947 e vive a Parigi. Nel 1979 ha pubblicato il suo primo libro Le Méridien de Greenwich , nel 1983 Lac (Prix Aristeion) seguito nello stesso anno dal Prix Médicis con Cherokee. Nel 1999 vince il prestigioso Prix Goncourt con Je m’en vais.In Italia presso Adelphi sono apparsi Ravel.Un romanzo (2007), Il mio editore (2008) e Correre (2009).
2009 III EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera
Jhumpa Lahiri, Una nuova terra (Guanda)
Jhumpa Lahiri, nata Londra da genitori bengalesi e cresciuta negli Stati Uniti, sin dalla sua prima raccolta di racconti L’interprete dei malanni ha immediatamente colpito l’attenzione della critica ottenendo il Premio Pulitzer nel 2000. L’omonimo, suo primo romanzo apparso nel 2003, è stato varie settimane nella “bestseller list” del New York Times. Ha ricevuto anche il PEN/Hemingway Award, l’O.Henry Award, il New Yorker’s Best Debut of the Year Award. Vive attualmente a New York. Dal suo libro The Namesake, Mira Nair ha tratto il film, “Il destino nel nome”, uscito in Italia nel 2007.
La Motivazione
“Una nuova terra di Jhumpa Lahiri è la delicatissima traduzione narrativa d’un grave, attuale interrogativo: come rimanere se stessi, ma anche come cambiare, da un mondo all’altro, dall’India ancestrale alla East Coast o a Seattle, per esempio. Come poter migrare, apprendere alla lingua della differenza e continuarsi altrove, nel dono di sé.
Mai come oggi i nostri figli “nascono altrove” -è l’epigrafe che l’Autrice ha scelto da Hawthorne- e forse altrove, in una nuova terra, i loro figli “affonderanno le radici”. Gli otto racconti che compongono il volume di Jhumpa Lahiri sono altrettanti, acutissimi studi narrativi su questa mobilità dello sguardo del migrante, poi dell’emigrato, sul mondo che lo accoglie, nonché sui suoi assidui tremori , malinconie e nere cortine calate all’improvviso sulle cose stesse.
A volte, come gli ambasciatori a Parigi delle Lettres persanes di Montesquieu, questi indiani, questi bengalesi, intendono l’Occidente -le sue soluzioni, le sue involuzioni- in modo assolutamente originale: la loro stessa sensibilità, acuita dallo spaesamento, diventa infallibile percezione, o meglio logica, distinzione di vero e falso: ciò che all’Occidente stesso, solo, in sé, di giorno in giorno sempre più risulta sfuggente.”
La Miglior Traduzione
Claudia Zonghetti
Vasily Semënovič Grossman’s, Vita e destino (Adelphi)
Claudia Zonghetti è nata a Fano nel 1966, ha studiato Lingue a Ca’ Foscari, dove si è laureata in Letteratura russa con Vittorio Strada. Si è poi specializzata seguendo corsi a Mosca, Oxford, Würzburg. Attualmente vive a Milano dove svolge l’attività di traduttrice letteraria, prevalentemente dal russo. Tra gli autori da lei tradotti, oltre a Vasilij Semënovič Grossman, Gogol, Bulgakov, Pavel Florenskij, Chodasevic, Varlam Salamov, Ivan Bunin, Anna Politkovskaja. Nel 2007 ha vinto il Premio letterario internazionale “Russia-Italia attraverso i secoli” per la sua versione di Diario russo di Anna Politovskaja (Adelphi).
Finalisti
David Albahari, L’esca (Zandonai)
È nato a Pècs nel 1948, nell’allora Yugoslavia, vive da molti anni in Canada ed è una delle voci più significative della letteratura serba contemporanea. Ha pubblicato nove raccolte di racconti brevi e undici romanzi in serbo, compreso Leeches (2005). È stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui l’Ivo Andrić Award, il Balcanica Award e il Berlin Bridge Prize. È membro dell’Accademia Serba di Scienze e Arti. Le sue opere sono pubblicate in oltre sedici lingue, in Italia sono stati sinora tradotti La morte di Ruben Rubenovic (Hefti, 1989), Il Buio (Besa, 2003) e Goetz e Mayer (Einaudi, 2006).
Andrew Sean Greer, Storia di un matrimonio (Adelphi)
Nato nel 1970 a Washington e ha studiato con Robert Coover e Edmund White alla Brown University. Vive a San Francisco dove ha iniziato la sua carriera scrivendo per riviste come Esquire, Paris Review e Story, prima di pubblicare la sua prima raccolta di racconti, How It Was for Me. Il suo primo romanzo, The Path of Minor Planets è stato pubblicato nel 2001 e il suo secondo, La confessione di Max Tivoli, nel 2004. John Updike, sul New Yorker, ha paragonato la sua opera a Proust e Nabokov.
Deborah Eisenberg, Il crepuscolo dei supereroi (Alet Edizioni)
Nata nel 1945 nella periferia di Chicago, Illinois, vive a New York e insegna scrittura creativa all’Università della Virginia. È autrice di quattro raccolte di racconti e di una commedia, Pastorale, che è stata rappresentata al Second Stage di New York. È una delle più importanti scrittrici di racconti della sua generazione, erede diretta di John Cheever e Raymond Carver. Collabora assiduamente con The New York Review of Books. Vincitrice di numerosi premi, tra cui ben cinque “O’Henry Awards”, con Il crepuscolo dei supereroi è entrata tra i finalisti del Faulkner Award for Fiction 2007. I suoi libri sono tradotti in tutta Europa.
Richard Ford, Lo stato delle cose (Feltrinelli)
Nato nel 1944 a Jackson, Mississippi, è considerato uno dei più grandi scrittori americani contemporanei. Ha pubblicato cinque romanzi e tre raccolte di racconti, tra cui Rock Sprigs (1989), L’estrema fortuna (1990), Incendi (1991), Sportwriter (1992), Il donnaiolo (1993), Il giorno dell’Indipendenza (1996), vincitore dei due premi più prestigiosi d’America: il Pen/Faulkner Award e il Pulitzer prize, Donne e Uomini (2001) e Infiniti peccati (2002). Il tanto atteso nuovo romanzo, Lo stato delle cose, è l’ultimo capitolo della trilogia di Frank Bascombe, dopo Sportwriter e Il giorno dell’Indipendenza.
Ingo Schulze, Bolero Berlinese (Feltrinelli)
Nato nel 1962 a Dresda. Ha studiato lettere classiche a Jena e lavorato come drammaturgo e redattore al Altenburg. Dal 1993 vive a Berlino. Nel 1998 il “New Yorker” lo ha annoverato tra i “sei migliori giovani romanzieri europei” e “The Observer” lo ha citato tra i “ventuno autori di cui ci si ricorderà nel ventunesimo secolo. È membro dell’Accademia delle Arti di Berlino e dell’Accademia tedesca per la Lingua e la Poesia. I suoi libri son tradotti in ventisette lingue. In italiano sono stati pubblicati 33 momenti di felicità (Mondadori 1999), Semplici storie (Mondadori, 2001, Feltrinelli, 2008) e Vite nuove (Feltrinelli 2007). Per Bolero Berlinese ha ricevuto il premio della Fiera del Libro di Lipisia.
2008 II EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera

La Miglior Traduzione
I Finalisti




2007 I EDIZIONE VINCITORI
La Miglior Opera di Narrativa Straniera
Hisham Matar, Nessuno al mondo (Einaudi)
La Motivazione
Con Nessuno al mondo, Hisham Matar racconta attraverso gli occhi stupefatti e sofferenti di un bambino di nove anni una delle tante tragiche storie che si consumano nell’ombra di regimi autoritari, come la Libia di Gheddafi, che hanno inverato nel più atroce dei modi gli incubi profetici di Kafka.
Nato a New York nel 1970 da un padre diplomatico, poi coinvolto in un movimento d’opposizione e scomparso da vent’anni, Matar vive in esilio dal 1979, prima al Cairo, poi a Londra, e scrive in inglese per cercare di cambiare almeno nell’invenzione narrativa gli sfortunati destini del padre, della madre e di un’epoca.
Quello che si consuma in questo romanzo d’esordio, già perfettamente maturo, è una vicenda esemplare di distruzione della personalità, che il regime mette in atto verso i suoi oppositori: arrestati, torturati, umiliati, prima di essere eliminati anche fisicamente. La stessa vicenda che Primo Levi ha analizzato in Se questo è un uomo e in I sommersi e i salvati. Nel paese di delatori e di una onnipotente polizia politica, dove anche i muri hanno le orecchie, il degrado morale praticato dal regime si diffonde come un contagio e trascina nell’abisso anche le sue vittime.
Come ad Auschwitz, non basta essere vittime per essere dalla parte dei giusti. Non è un mondo diviso in buoni e cattivi, quello che Hisham Matar rappresenta, ma la sua perversa complessità, la sua fragilità etica indagata senza paura con cuore di poeta e mano sicura di narratore.
Nessuno al mondo non va dunque letto come una testimonianza o un documento, ma come una prova di vera letteratura, capace di superare le contingenze del tempo e dello spazio per assumere un valore universale. Capace di tracciare una dolente cartografia di territori incogniti, di scomode verità umane.
La Miglior Traduzione
Bruno Ventavoli
Magda Szabo’s, Pilátus (La Ballata di Iza – Einaudi)
Che il “Premio Vallombrosa Gregor von Rezzori” abbia una sezione dedicata alla traduzione è un dato di grande importanza. Rezzori, che amava la lingua e le lingue, aveva infatti, nei confronti degli adepti di quest’arte negletta, una considerazione che andava molto al di là del normale compiacimento di chi vede la propria opera rinascere in un contesto linguistico-culturale diverso dal proprio. Lui che, grazie a uno straordinario talento, era in grado di controllare personalmente le versioni dei suoi libri in quasi tutte le lingue europee, conosceva e onorava la fatica operosa e amorosa di chi si pone al servizio di un’opera perché altri, lontani, possano conoscerla e apprezzarla, e sapeva quanto il successo – o l’insuccesso – di uno scrittore all’estero dipenda dalla capacità del traduttore di sentire dentro di sé, e ricreare per gli altri, un universo sentimentale, l’atmosfera di un paesaggio, colori, odori, sapori remoti o addirittura scomparsi.
Nella Ballata di Iza Magda Szabó dà voce a un mondo che sta caparbiamente dimenticando se stesso nell’illusione che il presente, e soprattutto l’immediato futuro, possano scacciare tutte le ombre, comprese quelle dalle quali veniamo e alle quali siamo destinati a tornare. Sullo sfondo dell’Ungheria degli anni Cinquanta, delle illusioni e delle miserie di quella storia – che è storia di ieri e che è comunque storia di tutti noi – il romanzo racconta e fa agire solitudini, silenzi, occasioni d’amore inascoltate e perdute. Difficile, difficilissimo per il traduttore entrare in quel congegno senza appesantirlo o, viceversa, senza semplificarlo, senza “adattarlo”.
Bruno Ventavoli è riuscito magistralmente a immergersi nel testo senza mai sporcarlo, senza lasciare tracce. Il compito più arduo del traduttore, quello di accordare la propria voce sull’opera, e non viceversa, egli lo ha assolto trovando la misura perfetta tra la necessità di ricreare un tessuto – con tutte le responsabilità “letterarie” che questo comporta – e il dovere imprescindibile di quello che Franco Fortini ha chiamato il “servizio” del traduttore nei confronti dell’originale. Di questo romanzo così ricco e vibrante Ventavoli ha saputo restituire il tono – gli strazi, lo squallore, gli entusiasmi, le attese – con il giusto equilibrio e la giusta partecipazione, e ne ha reinterpretato lo stile, sommesso, prosciugato e insieme alto, con una resa italiana che, dalla prima all’ultima pagina, riesce a non allentare mai la tensione, a non sembrare mai – e questo è il grande paradosso del nostro mestiere, la lode per noi più ambìta – una traduzione.
Finalisti
Daniel Kehlmann, La misura del mondo (Feltrinelli)
Con La misura del mondo (ed. Feltrinelli) il tedesco Daniel Kehlmann ha scritto un esilarante romanzo in cui filosofia e storia, scienza e letteratura convergono in un raffinato gioco di finzione e realtà. Due grandi personaggi a cavallo fra il Sette e l’Ottocento, il geografo e scienziato Alexander von Humboldt e il grande matematico Carl Friedrich Gauss, sono i protagonisti del romanzo e di una sublime impresa: la misurazione del mondo. L’ uno in giro per le foreste dell’America del sud, insaziabile osservatore di realtà enigmatiche e misteriose, l’altro, perso tra formule e numeri, nel piccolo entourage della Gottinga dell’epoca, ma con la mente protesa verso una scoperta rivoluzionaria: la curvatura dello spazio. Con affabile maestria e un felice senso dell’umorismo Kehlmann ricostruisce l’incontro dei due geni in occasione del Congresso degli scienziati tedeschi a Berlino nel 1828. E’ il punto di partenza per la radiografia di un’epoca carica di aspettative e speranze che la realtà traduce in amare delusioni. Grandezza scientifica e miseria politica, quasi emblemi di un’eterna dissonanza fra creatività e vita, s’intrecciano al destino dei nostri protagonisti nell’età post-napoleonica. Il romanzo declina, sullo sfondo di una complessa epoca, la quotidianità un po’ goffa e bislacca di due maestri aperti sull’infinito della mente, ma travolti dall’angustia della vita. Un destino che Kehlmann ripercorre con irridente ma affettuosa partecipazione, con smagliante sinteticità e irresistibile brio narrativo. Una commedia che fa deflagrare il sublime con il banale, i limiti della vicenda umana con lo sconfinato fervore della mente. Un libro per oggi anche se parla del mondo di ieri.
Marisha Pessl, Teoria e pratica di ogni cosa (Bompiani)
Mescolando ironia, ambizione letteraria e talento, la ventottenne Marisha Pessl ha scritto un romanzo d’esordio che è allo stesso tempo un thriller intellettuale capace di tenere il lettore col fiato sospeso, e una storia di formazione che riflette in modo sensibile e acuto sul tema della vulnerabilità dell’adolescenza. Ciò che colpisce in Teoria e pratica di ogni cosa è l’abilità con cui la giovane autrice si muove su diversi registri narrativi. Da un lato rendendo omaggio a Nabokov con numerosi richiami all’universo di Lolita (la trama racconta di uno studioso di mezza età che attraversa l’America in automobile con una ragazzina, da una cittadina universitaria all’altra, in un’avventura a cui fa da sfondo la tragica morte di una donna). Dall’altro agitando la schiuma di una prosa brillante fino all’impertinenza, attraverso la voce narrante di una ragazzina un po’ ingenua per la sua età, ma anche molto allenata al sapere filosofico, politico e letterario, da tutte le ore passate in auto sulle strade americane accanto a un papà intellettualmente esigente. Tutto questo viaggiare, così simile a una fuga, si concluderà nell’ennesima cittadina di provincia dove far luce sul mistero di una serie di delitti coinciderà per la protagonista con il superamento della linea d’ombra che la separa dall’età adulta. Non solo. Scrivendo Teoria e pratica di ogni cosa Marisha Pessl ha voluto anche mostrare come i libri che leggiamo abbiano una profonda influenza sulla nostra vita e le nostre scelte. Che sia riuscita a illuminare questa verità con umorismo e leggerezza, è un ulteriore merito che le va riconosciuto.
Zadie Smith, Della bellezza (Mondadori)
Della bellezza di Zadie Smith è un intelligente romanzo-interrogazione sui significati del multiculturalismo e sulle possibilità di sopravvivenza dell’arte e della letteratura nel mondo attuale. Il genere prescelto dall’autrice è il romanzo universitario secondo il canone stabilito negli anni Cinquanta dall’elegante Angus Wilson, poi frequentato negli anni Ottanta dal meno elegante David Lodge. Di questo genere Zadie Smith accoglie e sviluppa originalmente il topos del conflitto tra accademici, qui un Howard Belsey progressista wasp e un Monty Kipps campione del conservatorismo caraibico, entrambi studiosi di Rembrandt nel prestigioso, quanto immaginario, Wellington College della East Coast. Prigionieri e reggenti in un mondo separato, orgoglioso e autocratico, i due protagonisti danno vita un’opposta vicenda autoriflessiva e autoironica dove i sentimenti, anche privati, e le domande generali e assillanti sull’identità della negritude si mescolano sapientemente. Il modello e nume, Edward Morgan Forster con Casa Haward è sullo sfondo, motore e garanzia di un’ispirazione sempre vigile e di una grande delicatezza nella rappresentazione dei lati più difficilmente rappresentabili della psiche umana.
Semifinalisti 2007 I edizione >